Aspettando il Carpathia
È un sabato di giugno. Sto davanti al tablet per un incontro di formazione on line. Mio figlio grande è a scuola per il laboratorio estivo e il piccolo è uscito col padre. Sbadiglio, noncurante della telecamera accesa, e un po’ mi spiace mostrarmi così, perché la mia non è noia verso l’argomento trattato, é solo stanchezza dell’anima. Sento i miei colleghi riportare le loro testimonianze lavorative di questi due anni, su come sia stato difficile reinventarsi quasi una professione, inizialmente, e poi rispondere alla chiamata di un ritorno alla normalità, che poi tanto normale non è stata. Dover decidere tra l’etica di un lavoro sicuro per sé e per l’altro e l’etica di un lavoro utile per sé e per l’altro. Certe professioni, come quella del musicoterapeuta, non sono fatte per tenere la distanza né la mascherina.
Sono fatte di bave e muco di bambino, di abbracci, di salti, di sudore e rotolamento. Sono fatte di una voce che si sente soprattutto guardandola, e mettendo la mascherina, non si sente più nulla. Sono fatti soprattutto di relazioni e di contatti.
Eppure ce l’abbiamo fatta, peno continuando ad ascoltarli e a sbadigliare, mentre mio padre, che straordinariamente si trova da me, passa avanti e indietro affaccendato tra lo stendere i panni e il controllare i fornelli nommu pigghjia u sucu. I colleghi continuano a parlare ed io a sbadigliare. Chissà quando potrò portare i bambini al mare! Penso ricordandomi di come sia incastrata ogni ora del miei giorni. È stato tutto un affanno in questi due anni: i rallentamenti e i blocchi dovuti ai vari lock down hanno aumentato la velocità di quei pochi gesti normali rimasti. Non posso lamentarmi, lo so. Rispetto a tante altre persone non ho subito perdite di familiari, né economiche. Stiamo tutti bene in famiglia.
Eppure, forse, è proprio quando tutto va bene che ti accorgi di cosa va male. Tu sei sulla scialuppa, ti sei salvato e, sebbene non si veda ancora arrivare il Carpathia, ti dicono sia questione di tempo. Ti guardi intorno ed è però ancora notte fonda
Tu sei sulla scialuppa, ti sei salvato e, sebbene non si veda ancora arrivare il Carpathia, ti dicono sia questione di tempo. Ti guardi intorno ed è però ancora notte fonda.
Nel momento in cui ci avevano chiuso tutto, non mi restava che aprire la mente!
Non servono abbracci, perché ciò que pasa (per citare uno dei padri fondatori della Musicoterapia, il professor Benenzon), in certi momenti non ha bisogno di altro. Ciò que pasa, pasa nonostante il tablet, la distanza, la mancanza di fisicità, il COVID, i vaccini, i divieti, le zone bianche, gialle, arancione rinforzato e marrone cacca, la scuola chiusa, i bambini costretti a pagare le conseguenze del fatto che gli adulti non sanno comportarsi da tali. Si, ciò que pasa, pasa comunque. E mi ricorda che le cose belle accadono, sia che noi le cerchiamo e vogliamo controllarle, sia che ci abbandoniamo alla deriva.
Mamma, ma quelli sono i tuoi migliori amici? La voce di Pietro, che è appena rientrato, mi richiama ad un ulteriore livello di realtà. Lui ha visto il fratello in DAD e pensa che quella sia la mia scuola. Lo prendo in braccio mentre continuo ad ascoltare le testimonianze dei colleghi; lui mi stringe e mi confessa: Mamma, lo sai che anche io ho dei migliori amici? Quelli dell’asilo! Io sono tanto felice perché non pensavo di poter avere degli amici! La meraviglia dei bambini nello scoprire cose che noi diamo per scontate mi riempie di luce. Lo stringo ancora più forte, pensando che davvero i bambini salveranno il mondo! Sembra di sentire un suono in lontananza. Potrebbe essere il Carpathia o forse no. Non importa, so aspettare.
I bagliori della luce, dopo tutto, sono magici specialmente di notte.
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