Il maiale minerale
La casa uno se la porta dietro, credo. Come certi animali, come le tartarughe. Certo mi somigliano, tranquille, solitarie ma simpatiche. E dure, e morbide, e antiche. Come me. Se qualcuno si avvicina troppo per dare fastidio, mi rifugio nella mia casa mobile. Solo io e i miei sogni. Ma se qualcuno ha bisogno metto il muso fuori e mi metto all’opera. Mi piace trovare soluzioni e ci riesco bene. Poi ritorno a casa. Ché le cose mie me le risolvo da me. Qualche persona in passato è stata la mia casa ma da tempo sono sola, spiritualmente parlando. Mi porto dietro quello che ho imparato e faccio da me. Ogni tanto cerco un compagno di viaggio. Mi sembra di averlo trovato e poi regolarmente scopro che non era così. Il fatto è che se io sono sempre stata pronta a scegliere e rischiare, può essere che non sia lo stesso, per gli altri. Sto imparando a lasciare andare e fa un male cane, all’inizio. Ma almeno si fa chiarezza.
Da bambina credevo ancora che la mia casa fosse quella di muri abitata da genitori, sorellina neonata e nonno. Ricordo quando avevo circa otto anni; la mia metà dell’anima, la nonna, se ne era andata l’anno prima e da allora avevo sviluppato uno strano carattere bivalente, che consisteva in un’estrema iperattività nei movimenti e un insolito mutismo selettivo. Non erano cambiate, però, la fantasia galoppante e la curiosità, che mi aiutavano parecchio a sopportare il senso di vuoto. I miei genitori lavoravano molto e senza la nonna e con la bambina piccola, la spesa e la cucina avevano subìto un notevole stop, nessuno se ne curava davvero. Lui era uno degli aiuti esterni e si occupava dell’ingrato compito di caricarsi le bottiglie pesanti al posto nostro. Veniva ogni settimana, la sera, a consegnare le bottiglie dell’acqua minerale. Un rito durato circa tre anni; era di mezza età, carnagione olivastra, piuttosto corpulento, coi capelli tutti neri e un ciuffo innaturale alla Elvis Presley. Quello che solitamente si definisce “gatto morto”. Molto probabilmente il garzone di un supermercato. Quando sentivamo il campanello suonare, la delegata ad aprire la porta ero io. I primi tempi mi faceva piacere, mi sentivo Importante; annunciavo al nonno e ai genitori che era arrivato “il signore dell’acqua”, che già sapeva sarei stata io ad aprire, mi chiamava “ciao bambola” perchè ignorava il mio nome e dopo aver preso i soldi dalle mie manine mi salutava con una carezza sulla testa. Gli ultimi tempi, quando ero diventata più grande, mi salutava con un buffetto sul sedere.
Mi straniva un po’ questo cambiamento ma allora certo non potevo interpretarlo come l’evidente gesto di un maiale semi-scaduto. A distanza di anni ci pensavo con più regolarità a quel gesto provando un senso di intenso fastidio e augurandomi, in cuor mio, che fosse morto di vecchiaia il suo autore ormai, senza fare troppi danni. E nemmeno troppo bene.