Pericle coda storta e bastardo – VII – Stories
– Ohi raga questo bel gattone con la codina storta che sta qui al paesello si chiama Pericle. Saluta Pericle, fai ciao con la zampina. Niente raga, è un po’ timido Pericle. Eddai micio. Forse vuole un po’ di croccantini, che dite? Allora, raga, attenzione, ora nelle prossime stories vi posto un sondaggione di quelli tanta roba. Si però attenti eh perché ora ve lo anticipo e poi come detto nelle prossime stories lo vedete come domanda e potete votare. Pronti? Allora: secondo voi perché si chiama Pericle? Difficile eh? Secondo me i raga che fanno il liceo sono favoriti. Suggerimento: guardate la testa, il disegno che fa il pelo rosso sul bianco. Aspettate che ora ve lo indico. Qui, vedete? Dai, è difficile ma provateci raga. Poi nel caso nelle prossime stories ve lo spiego io.
Due anni dopo la morte del grigio morì anche il cane Serse. Un giorno di settembre iniziò a tossire e la tosse non si placò più. Perse appetito, peso, persino cattiveria. Sprecava le sue energie ad abbaiare con quanto fiato rimasto a gatti e cristiani. Già a fine ottobre i guaiti terminavano quasi sempre in rigurgiti di saliva e chissà che altro. Smise di abbaiare ai cristiani, si riservò le energie per i gatti. A dicembre smise con i gatti e iniziò con il padrone Dario. La malattia non gli aveva intaccato il cervello, solamente l’arroganza che sempre lo aveva contraddistinto era stata corrosa dalla malattia e aveva lasciato il posto a un senso di rabbia verso quel padrone a cui aveva donato la vita e da cui non aveva avuto in cambio nemmeno un gesto d’affetto e cura nei mesi della malattia. La depressione fu l’anticamera della fine. Mentre nel paese luccicavano alberi e luminarie di Natale, i gatti banchettavano nella ciotola di Serse. Il cane guardava e lasciava correre.
In quei giorni Pericle non andò mai a banchettare al capezzale del nemico. Si presentò nel vicolo solamente la sera dell’ultimo dell’anno. Gatti e cani, presaghi del fastidioso trambusto notturno, già si erano levati in case e rifugi improvvisati. Le strade erano pressoché vuote. Qualche ragazzotto sgattaiolava in strada tra una portata e l’altra per sistemare mortaletti e ordigni. Per il resto tutto era ancora silente, non fosse per il vociare lontano che perveniva dalle finestre delle case. Pericle si sedette in mezzo alla strada. Serse era oramai in agonia. Aprì gli occhi e vide il grande nemico davanti a sé. L’unico che gli era sopravvissuto. Gli aveva tolto una vita, non certo tutte. Pericle ricambiò lo sguardo. Rimasero così a lungo, gli occhi negli occhi. Non c’era rancore, odio, rivalsa. Così vanno le cose quando si nasce su barricate opposte. Infine Serse chiuse gli occhi. Pericle si alzò, si avvicinò alla ciotola dove Dario aveva versato cibo senza nemmeno sincerarsi delle condizioni del cane. Annusò il cibo, alzò la testa e osservò il rarefatto movimento dei peli sulla pancia di Serse. Fu allora che partì il gran frastuono della festa di fine anno. Si levarono fuochi d’artificio sopra i tetti e un bagliore verde illuminò per alcuni secondi il ventre del cane. Non più pelo alcuno si muoveva. Pericle non toccò nulla del suo cibo e se ne andò. Il giorno dopo Dario trovò Serse morto davanti casa. Lo mise in un sacco nero e lo gettò nel bidone dell’indifferenziato. Il giorno dell’epifania Dario fu colpito da un infarto mentre era in casa. Urlò, ma nessuno accorse. Fu seppellito nell’angolo più recondito del cimitero. Il prete, il becchino, due inservienti delle pompe funebri e altro più. Nessun fiore, nessuna opera buona.
– Oh raga, non c’ha preso nessuno, nessuno oh! Ok, adesso salutate Pericle che inquadro me stessa, ecco. Scusate il brufolo sulla guancia, il mangiare di mia nonna mi sta uccidendo. Niente, nessuno ha indovinato. Poi tutti a dire guarda che coda storta, siete stronzi eh! Beh comunque era difficile raga, lo ammetto. Anche a me l’hanno spiegato, mica lo sapevo. Ve lo dico: lo hanno chiamato così perché sembra che c’ha un elmetto greco sulla testa e Pericle era appunto un personaggio greco. Oh poi a me l’hanno spiegato così, non so manco a chi cazzo è venuto in testa di chiamarlo così. Gente strana qui al paesello. Allora, nella prossima story vi dico una novità molto molto importante che riguarda proprio Pericle. Tenetevi forte perché è una bomba che a parte Pericle riguarda soprattutto me.
In una giornata di fine agosto Pericle si trovava al fiume con lo sguardo assorto verso i monti al di là della valle. Era un gatto nel pieno dei suoi anni e le abitudini, la cui ricerca mai aveva abbandonato, si erano dilatate sul piano temporale ed erano diventate stagionali. Così, quando la calura estiva si faceva meno pressante e il sole iniziava a cedere il passo qualche ora prima del solito, Pericle era solito appollaiarsi dove qualche anno prima aveva visto due pescatori. Arrivava qui verso sera e vi rimaneva finché l’ultimo raggio solare si spegneva sulla vetta dei monti. Quindi si ritirava nella vecchia capanna del fiume che lo aveva ospitato nella giovane età. A volte ivi attendeva l’arrivo di qualcuno prima di coricarsi. E sebbene ogni tanto arrivasse Leonida alla capanna, non era certo lui che avrebbe voluto vedere in quella capanna. In paese andava in tarda mattinata. Era un percorso fisso tra begonie in fiore, vicoli umidi, recessi anditi, donne vedove e ciotole d’alluminio ricche di avanzi. Pericle andava a colpo sicuro, l’esperienza gli permetteva di evitare inutili zuffe per una lisca di pesce. Quindi si portava in quella parte della piazza del paese dove si dava appuntamento la popolazione felina: il vòlto in pietra di una casa disabitata al limitare della piazza del paese, ove stavano una vecchia Vespa in disuso da tempo e una botte ormai marcia. Pericle si issava sul sellino della Vespa, si accomodava e si guardava attorno con scarso interesse. Non partecipava alle risse per gatte tanto quanto evitava quelle per il cibo. Aveva imparato a mettere le cose nella giusta colonna e aspettare. Come il cibo, anche qualche gatta in qualche vicolo la si poteva pur sempre incontrare.
Quanto a Filippo, il nuovo capo dei gatti, Pericle lo ignorava del tutto. Non c’era posto per altri capi nella sua testa. In generale ignorava un po’ tutto il contesto felino. Si accompagnava solamente a Leonida. Ma anche al rissoso e temerario Leonida, più portato all’azione che all’introspezione, era chiaro che questo era un gatto ben diverso da quello che aveva conosciuto. Pericle aveva superato tutte le avversità che la vita gli aveva messo di fronte fin dal momento in cui aveva rischiato di morire strozzato nella vagina della madre, eppure era come se una parte di sé fosse rimasta schiantata sulla strada assieme al gatto grigio. Ci sono tuttavia passioni che non si abbandonano nemmeno nei momenti più bui. Questo era per Pericle osservare gli umani, discernere le emozioni e catalogare i gesti di questi strani e pur sempre utili esseri viventi. Del resto era stata la sua attività prediletta fin dai tempi dell’infanzia nella selva sotto il paese.
– Ciao, sempre Ale, new story per dirvi la novità. Ve la butto lì senza troppi fronzoli. Allora, per i raga miei amici preparatevi perché presto Pericle lo vedrete in carne ed ossa nella city! Si non sto scherzando raga, avete capito eccome. Ho già convinto mamma e si fa!
Durante l’estate era stata Alessandra, una ragazza di città che passava le estati dalla nonna in paese, ad incuriosire il gatto. La chioma di un colore differente rispetto all’attaccatura dei capelli, quell’aggeggio che teneva sempre in mano e spesso gli puntava contro. Senza considerare che la ragazza, oltre che di parole, era assai prodiga di ottime scatolette di manzo. Pericle non capiva se quel fiume di parole era rivolto al telefono o a lui. Un po’ guardava il telefono, un po’ guardava lui, sempre blaterava parole veloci.
Un giorno di inizio settembre Pericle lasciò la capanna sul fiume. Leonida lo vide prendere la strada per il paese. Quindi si addormentò. Ciò che Leonida non sapeva è che non l’avrebbe visto tornare. Pericle fece il solito giro di begonie, vedove e ciotole, quindi si appropinquò a casa della nonna di Alessandra. La ragazza era seduta sull’uscio di casa. Quando lo vide sorrise ed esclamò – Eccolo! Dai mamma, sbrigati! – quindi si avvicinò a Pericle con una ciotola in alluminio, ma stranamente nessun telefono in mano. Era ormai sazio, ma rifiutare cibo non era cosa per gatti. Alessandra lo accarezzò ansiosamente e lo intimò più volte di mangiare, quindi Pericle abbassò lo sguardo e azzannò i golosi bocconcini di manzo. Fu subito preso da un gran sonno e tutto divenne buio.
La prima cosa che vide quando si riprese dall’effetto del sonnifero fu il telefono di Alessandra. La ragazza era dietro di esso e come sempre blaterava velocemente. Si guardò intorno e non vide nulla di conosciuto. Era in una stanza con colori sgargianti in ogni dove e poster alle pareti. Cercò una finestra con lo sguardo. La trovò. Cercò i monti. Non li trovò. Trovò invece la luce di settembre, la stessa che ogni sera al fiume osservava dipingere le montagne di giallo prima di lasciare posto alle tenebre. Ma non erano montagne quelle su cui si stagliavano gli ultimi raggi solari della giornata. Erano condomini. Grandi condomini di cemento armato. Abbassò lo sguardo su un termosifone decorato da tanti fiorellini gialli e rossi. Chiuse gli occhi e si abbandonò nuovamente al sonno.