Nuovi ricchi e vecchi poveri
Se guardiamo indietro nelle vicende umane, in particolare nelle grandi tragedie, c’è quasi sempre una costante. Una rinascita, un nuovo sviluppo. Non il recupero del passato, ma un mondo nuovo. Il che non sta a significare un mondo migliore. Diverso, perché indietro non si torna.
Parlando di numeri si dice: si potrà recuperare quanto perso in x anni o simili. Ma sono quantità, non ci dicono la qualità e la natura del possibile recupero, anche se l’impressione, vivendo immersi nella realtà che ci circonda, è che avvenga un semplice recupero del mondo precedente. Ma con gli anni si vede che le cose non sono state quelle di prima, e servono gli storici per capire la verità. Non solo. Via via che la tragedia si allontana, assistiamo a una accelerazione del recupero. Le nostre previsioni economiche, negli ultimi mesi, sono andate sempre migliorando per l’anno in corso, e ora sono intorno al cinque per cento. Percentuale non immaginabile in tempi normali. C’è sempre una nuova ansia verso la crescita, una voglia irrefrenabile di riavviare quella che consideriamo la vita, dopo più di un anno vissuto confinati fisicamente e psicologicamente. Una bella e buona notizia.
Ma, pur immersi nella realtà, qualcosa si può notare. Abbiamo vissuto stagioni durante le quali si è glorificato, oltre ogni limite, la capacità del sistema di equilibrarsi da solo, grazie a una mano invisibile che regola il mercato e le relazioni al suo interno. Tutto all’insegna di “meno Stato più privato”. Teoria che periodicamente si riaffaccia prepotente sulla scena economica, ovunque.
Oggi quel mondo si disgrega in piccoli rivoli, nei quali il criterio è: paghe basse e orari lunghi
Si può anche ritenere che questo sia un ottimo sistema, e che rappresenti il miglior modo per affrontare una società in crisi dopo un evento traumatico e inatteso. Ma almeno questa logica andrebbe spiegata e condivisa, non tenuta sotto traccia.