L’accordatura del violino
Capita che uno si deve maritare e capita che ancora non ha fatto la Cresima, e perciò bisogna farla.
Potevamo non invitare al matrimonio lo zio Frenky, il più grande dei fratelli di mia madre che oramai vive a “Nuova Yorke” da più di quarant’anni e che ho visto solo una volta da bambino?
La cosa più bella della cresima, si sa, è il Parrino, come diciamo qui, o il Padrino come si dice nel resto dell’Italia. E quello perciò venne, ma soltanto col patto che il padrino fosse lui. Non potevamo certamente dirgli di no, e poi per tutta la vita mi sarei potuto vantare di avere un parrino americano, che non è cosa da tutti.
Ma per abbreviare: lo sapete che il parrino fa un regalo speciale al suo figlioccio, no?
E infatti durante la bicchierata che facemmo a casa dopo la cerimonia religiosa, lo zio Frenky mi si avvicinò con un sorriso a trentadue dentiere tenendo in mano una elegante e massiccia custodia; istintivamente pensai che dentro ci potesse essere uno strumento musicale, quella era la forma, ma essendo a conoscenza delle chiacchiere che si facevano sullo zio d’America temetti pure per un attimo che dentro potesse esserci un fucile mitragliatore adatto a stragi multiple, come quella famosissima di san Valentino. Invece no, davvero c’era un violino!
Basta, passò la serata, passò il matrimonio, lo zio Frenky se ne partì di nuovo alla volta dell’ America e io soltanto nell’autunno successivo mi ricordai di quel regalo.
Aprii la custodia e ne estrassi il contenuto: bello, elegantissimo, forse la cosa più preziosa e delicata che avessi mai avuto tra le mani; di un colore caldo, tra l’arancio e il rosso ambrato, lucido e magnifico…
Ma non sapevo cosa farmene! Chi sapeva suonarlo un violino? Ma rivenderlo o regalarlo ad altri sarebbe stato uno sgarbo verso lo zio Frenky; no, non era neanche da pensarlo.
Epperò… epperò le corde non le aveva… mi sembrò una cosa dell’Ikea, da montare arrivati a casa. Ma poi guardai meglio: le corde c’erano, in uno scatolino a parte, insieme al crine per l’archetto, al ponticello e alla pece rossa.
Un po’ internet, un po’ anche mio cugino che suona l’organo in parrocchia, mi indirizzarono verso il centro storico, dove in ogni via c’è un mestiere antico: ecco via delle chitarre, cortile dei tromboni, ci siamo quasi, piazza contrabasso, ed ecco, via dei liutai.
La bottega è tutto un casino: attrezzi, sagome di legno, barattoli di gomma e di vernici, vecchie morse, odore di legno buono dappertutto. Mastro Cosimo è in camice antico, che lo fa professore e artista; mi guarda al di sopra degli occhiali come si può guardare un gattino che ha sbagliato casa, ma sta muto, aspetta che io parli e nel frattempo guarda la custodia con curiosità un po’ nascosta.
Mi hanno regalato questo violino, ma non so come montare le corde, non ne ho idea, ho paura di rompere qualcosa. E lo vorrei anche accordato, se si può.
Estraggo lo strumento dalla sua custodia, lo mostro, glielo consegno.
Mastro Cosimo lo accoglie con delicatezza, lo guarda, lo soppesa.
Interessante – dice – ma non è di qua. Da dove viene?
È un regalo di mio zio che sta in America. L’etichetta dice Boston, Massachusetts.
Niente ci fa, i violini parlano tutti la stessa lingua, non importa chi li ha fatti e dove.
Che saggezza, penso, già mi fa un’ottima impressione.
Hai premura? – ma percepisco che ci vuol mettere subito le mani.
Ho la macchina messa male e domani inizia la ZTL, non è che potrebbe farlo adesso?
Va al bancone, mi invita a sedere, inizia a lavorarci. Con mani esperte estrae un pirolo, vi fissa un capo di una delle quattro corde e lo riavvita lentamente, fa passare la corda da una scanalatura del ponticello, lo infila nel tiracantino, poi tira un po’ di qua e tira un po’ di là. Fa la stessa cosa con le altre tre, poi prende un piccolo quadrante con la pinza e lo fissa la ponticello.
Sto diventando sordo, e adesso uso la tecnologia – sorride appena appena amaro mentre mi indica l’accordatore elettronico.
Strimpella con le dita, gira i piroli, stringe i tiracantini, finché la nota è limpida e la luce sull’apparecchio diventa verde.
Miii… – mi scappa a quel bel taglio di suono.
Bravo, questo è un Mi, allora hai orecchio?
Vorrei dire che no, non c’entra nulla con le note, e l’intercalare dovrebbe conoscerlo anche lui, ma poi lascio perdere, mi accollo il complimento immeritato e mi sto muto.
Finisce, passa un panno sul legno del violino, mi dice come dare la pece all’archetto, mi riconsegna lo strumento rimettendolo nella custodia.
L’accordatura va rifatta più e più volte, è ovvio; spero che tu abbia visto come fare, non è che puoi tornare qui ogni volta, e spendere dei soldi, eh?
Sì, sì, ho visto come fare, grazie – ma già penso che il violino è destinato ad aspettare a lungo dentro la custodia, almeno fino a quando uno dei miei figli, se e quando verrà, mostrerà interesse e orecchio musicale.
Foto: Brent Connelly, Pexels e Ri Butov da Pixabay.