Pometrò, parole per il teatro: Francesco Limite
Pometrò è uno spazio aperto, un luogo libero per gli autori, gli scrittori e i poeti di “Poesie Metropolitane”. Una rubrica dedicata “Alle parole per il teatro”: opere inedite: una poesia, un componimento in prosa, un racconto oppure una sceneggiatura che possa essere pensata per il teatro.
Armati di bellezza e poesia, ci auguriamo che questa rubrica possa essere un momento di fuga e di riflessione e di distacco dal cumulo informativo dal quale siamo bersagliati ogni giorno e al quale siamo soggetti.
Il poeta di oggi è Francesco Limite
Biografia: Francesco Limite, diversamente giovane, laureato quasi inutilmente. Assistente di volo, direi per forza, per trent’anni. Rimatore da molti secoli esclusivamente in vernacolo, il quale non vive questa condizione come una diminutio, e chest’è.
Opera: Il soprannome
Non è un’esclusiva napoletana… ma come tante altre cose, a Napoli, il soprannome, assume tipicità, particolarità, caratteristiche che lo rendono diverso, unico.
Di seguito alcuni esempi, spero, esaustivi. Una costante: se nasci biondo al Pallonetto, ai quartieri, alla Sanità è facile che verrai etichettato: Ciro, Rafele, Totore‘o biondo. E se ci nasci russo, nessuno ti salva dal Pascale, Vicienzo ‘o russo. Quindi dalla nascita sarai altro, oltre il nome. Ciò vale anche per i Tonino ‘o curto, e Tanino ‘o luongo? E se poi Tonino cresce, Tanino nun cresce cchiù, siamo nel campo delle premonizioni e, nel caso d’‘o curto, della jattura, na jastemma menata. Meno male che sono nato a duecento metri dal Pallonetto se no chi me lo toglieva il soprannome di Franchetiello ‘o curto, ed avrebbero anche indovinato.
Restiamo al Pallonetto. Molto in voga e spesso usato, in questo quartiere, il soprannome “‘o pesce”, che come il covid ha una variante: pepesce. Perché si appella qualcuno così? Dire, a Napoli, a qualcuno “pare ‘o pesce”, non è esattamente un complimento. Ritrovarsi soprannominato pesce, alias, fesso per la vita, non dovrebbe essere piacevole. Infatti c’è chi dà un’altra lettura, un’altra genesi a questo epiteto: infilandoci una motivazione di carattere fisico/sessuale. Ricorderete che Biagi, per sancire la disparità e difficoltà comunicativa tra nord e sud Italia diceva, quasi testuale: “Come può sentirsi unico un Paese nel quale la stessa cosa a Milano è uccello ed a Napoli pesce!” Ha una sua logica e valenza, questa genesi… ma, come detto, a Napoli c’è sempre un distinguo, questo: al Pallonetto – e dove se no?! – in una stessa famiglia erano presenti un “‘o pesce” ma anche un “piscetiello”, e che cattiveria! Ma se è la stessa persona che li ha appioppati, a che età l’ha fatto? In che circostanza? Magari quel giorno il designato piscetiello, steva poco bbuono… gli si poteva dare una chance…
Restiamo in ambito anatomico/sessuale e sempre nello stesso quartiere: “Cazzo martiello”, soprannome di un barcaiolo del Pallonetto, operante al borgo marinari. Siete curiosi e vi starete chiedendo: chi gliel’ha messo? Una fidanzata? Erano tempi in cui esisteva una certa discrezione e pudore e certe cose si facevano ma non si diceva si facessero, quindi: un amico? Ed in quale circostanza? Terreno minato, cambiamo strada.
Cambiamo ma restiamo in ambito: parliamo dell’organo sessuale femminile, detto, in pura accezione dialettale, delle due, la più colorita: ‘a pucchiacca. Al Pallonetto hanno fatto storia due persone soprannominate così:
1) pucchiacca fetente, che di per sé non avrebbe bisogno di ulteriori spiegazioni, tranne che di investigazioni sull’autore che, magari, se puteva fa ‘e fatte suoje, non fosse che per una particolarità davvero inspiegabile. Tutti starete pensando che la soprannominata è una donna, diciamo, poco linda? Ed invece, no, pucchiacca fetente era un uomo! Va trova mo pecché!…;
2) pucchiacca avvelenata. Dato questo ad una donna. E fin qui ci siamo. Le domande comunque ci sono. Partiamo dalla storia: la signora in oggetto, era rimasta vedova quattro volte. Quindi il soprannome non poteva essere precedente alle vedovanze, ci voleva Nostradamus. Ed allora quando? Dopo il primo decesso? Ma è prematuro. Al secondo? Ci si poteva cominciare a pensare. Al terzo? Anche chi voleva essere garantista, un pensiero cominciava a farselo, ma al quarto anche senza la prova che la morte fosse avvenuta: facendo la schifezza, al Pallonetto, pucchiacca avvelenata è diventato obbligatorio, e per il quartiere, la signora ha dovuto chiudere il magazzino… Qpoco male, nel frattempo era ormai in là con gli anni e la cosa non deve esserle pesata.
Chiudo con una carrellata di soprannomi che, difficilmente, anzi è impossibile spiegare sia perché a volte sono monosillabi che non hanno significato, sia perché francamente non associabili a caratteristiche fisiche o caratteriali: acqua ncapa, ’a siasca, becone, ‘o zzuzzù, uìuì, ‘a mbriana, ‘a presutta, ‘a curatella, ‘a mbriana, miez’juorne, ‘a ciatella, pazziella, ‘o cchiò ed infine, ma la lista sarebbe ancora lunga, ‘o muorto, così appellato per tutta la vita ma che ha campato da muorto/vivo per ottant’anni.