Uno scrittore che non sapeva più cosa scrivere
Eravamo arrivati quasi allo scontro fisico io e il mio editore. Voleva consegnato il romanzo entro pochi mesi. Io non ci cavavo più un ragno dal buco da quelle pagine che rimanevano sempre bianche. Non mi veniva fuori niente. Ero stitico mentalmente e la poca ispirazione non mi faceva cagare regolarmente come invece facevo di solito.
Avevo avuto successo con “Arthur von Manthel – Storia di un Gigolò” e tutti ora si aspettavano che riuscissi a mantenere un certo livello. Ma mica potevo sapere cosa ne sarebbe venuto fuori?
“Non so cosa devi fare. Non sono io lo scrittore tra i due. Uccidi qualcuno e racconta come hai fatto. Sequestra un politico e ci fai un diario di prigionia. Fatti esplodere in mezzo a una piazza. Non me ne fotte un cazzo di cosa scriverai, ma devi scriverla”.
L’orologio sulla parete in alto segnava le 11.30, io avevo un gran mal di testa e il fumo del suo sigaro aveva fatto aumentare questo dolore. Per fortuna sulla scrivania aveva un whisky di buona marca e mi feci tre o quattro bicchieri.
“Hai ragione, mm mm, si certo” continuavo a dirgli, ma in realtà non avevo l’ombra di cosa metterci in questo maledetto romanzo. E maledetto io che avevo scritto il primo libro e ora li avevo tutti alle calcagna. Editore, caporedattore, giornalisti, quel dannato telefono squillava ogni due per tre. L’unica nota positiva era l’aumento delle fan. Oh si, quelle si che mi piacevano. Aveva attecchito l’idea del gigolò – poeta. E io la notte lo facevo sul serio. Una poesia e una scopata ad ognuna di esse. Se ne andavano a casa il mattino seguente col sorriso sulle labbra.
“Senti ti do l’ultima opportunità, Sal, dopodiché ti faccio causa perché avevi firmato con noi per due romanzi in un anno e mezzo. C’ho casa in un posto su un lago. Ti spedisco lì così stai in pace, ti togli dalla mente la fica che ti sta divorando. Ti sei fatto risucchiare da quel fottuto buchino stronzo che non sei altro”.
“Ottima idea” non avevo capito nulla di quello che mi aveva detto, in realtà.
“Lo so che non mi stai ascoltando Sal, ma devi pensare anche al tuo futuro. Mica vuoi viverci a vita con un solo romanzo”.
Stava dicendo a me di pensare al futuro, io che in realtà non sapevo neanche come superare la giornata. Che bell’idea che aveva avuto.
In un modo o nell’altro riuscì a farmi caricare su di un’auto e farmi portare in questo paesino sperduto sul lago a farmi trovare di nuovo l’ispirazione. Era un ultimatum. O tornavo con qualcosa o era meglio non tornare.
Verso cena mi scaricarono davanti a una taverna che si trovava proprio in riva a questa specie di laghetto. Era un posto spartano pieno di pescatori. Silenzioso andai verso il bancone e chiesi qualcosa da mettere sotto i denti e qualcos’altro da bere. Si avvicinarono un paio di pescatori scuri e rugosi e chiesero chi fossi e cosa ci facessi in questo posto in culo al mondo. Risposi che ero amico dell’editore che aveva casa qui e che mi ci aveva mandato lui in questo posto per terminare un romanzo.
Notai che era ben voluto e mi offrirono tutta la sera col risultato che finii a ballare sui tavoli con la figlia del proprietario mentre alcuni suonavano chitarra e fisarmonica. Linda aveva venticinque anni e non era niente male. Aveva deciso di vivere accanto ai propri genitori e gestire la taverna perché dava buoni guadagni. Era in cerca di marito come si usa ancora da qualche parte in Italia. Bianca come la cera, due tette a pera ben piazzate, un culo largo di quelli che a pecora manovri come un timone.
Casa mia era proprio vicino e mi ci portò uno degli anziani con la sua Ape dopo avermi caricato di peso sul cassone perché io a camminare e stare dritto non ce la facevo proprio. Dormii tutto il resto del giorno seguente e tornai a cena sempre allo stesso posto. Ogni sera lì si faceva festa prima di mettersi in moto con barche e barchette e andare a pescare.
Le mie giornate passavano strappando fogli su fogli dopo aver scritto qualche riga. Non ce la facevo proprio. Non mi veniva nulla di buono in testa o forse a me apparivano cazzate. Sta di fatto che il tempo passava e io non avevo niente da portare alla casa editrice.
Con Linda si era andati avanti nelle nostre perlustrazioni. La introdussi al mondo dei pervertiti del sesso. Quello fatto come animali selvaggi. Le piaceva, imparava in fretta ed era intraprendente.
“Dio quanto amo le donne intraprendenti” mi dissi.
Le settimane scorrevano rapide ed ero sempre al punto di partenza, ma dovevo mettermi sotto e portare qualcosa. Fosse stato anche il peggior romanzo mai scritto nella storia. Mi rimanevano dieci giorni prima che venissero a riprendermi. Intanto avevo messo su qualche chilo, avevo la barba incolta e i capelli più lunghi di come li avessi mai portati.
“Linda non so cosa fare. Non so più scrivere. E se avessi già terminato tutto quello che avevo da dire? Finirò come sempre in mezzo a una strada!”
“Sal, tesoro, è solo un momento di crisi. Passerà. Intanto vieni qui, ti faccio un servizietto che non ti dimenticherai”.
Avevamo finito di fare baldoria da qualche ora e stavamo in spiaggia sdraiati dopo aver terminato di scopare e riscopare. Ora lei aveva ripreso e mi aveva abbassato i pantaloni.
Quando ero sul punto di esplodere sentii finalmente che tutto era tornato al proprio posto. Avevo salva la vita. Avrei scritto di uno scrittore che non sapeva più cosa scrivere. Quella fu la venuta più bella della mia vita!
Dopo qualche minuto tornò a mettersi accanto a me con la testa sul mio petto. Si stava in silenzio ad aspettare l’alba che tra poco sarebbe arrivata dietro di noi.
Da quella calma lei d’un tratto mi chiese “Ehi Sal, ci pensi mai al futuro? Cosa saremo tutti noi un giorno?”
“Non sono bravo io a pensarlo. Il futuro, dico. E poi in fondo il futuro non è altro che la somma di tanti piccolissimi attimi di presente”.