Calabroni italici
Se mostrate a una donna dieci gradazioni diverse di rossi, lei ne vedrà dieci. Ripetete l’esperimento con un uomo: se ne vede quattro, potete essere contenti. Millenni di suddivisioni del lavoro hanno fatto delle donne delle raccoglitrici: la bravura era nel distinguere la maturazione delle bacche e dei frutti. Dote cromatica conservata nella civiltà. E che forse avremmo dovuto sfruttare nel definire i colori della pandemia. Sicuramente loro avrebbero distinto molti più rossi di queli che ci sono stati indicati. Senza dimenticare che l’altro colore, che le signore sanno vedere in tante sfumature, è il giallo. Anche questo sarebbe stato utile. L’Italia è quasi tutta gialla: ma sono forse tutti uguali questi gialli? Il canarino e l’oro, l’acido e il Sole? Sotto questi colori generici si nascondono situazioni ben diverse, e neppure tanto sfumate. Che l’occhio esperto può cogliere, ma che l’occhio della stanchezza e del bisogno non vuole percepire, né tanto meno assecondare.
governare gli italiani non è difficile: è inutile
E questa nomea ci perseguita da tempo. Improvvisamente l’anno scorso tutti si adeguarono al sacro principio del distanziamento (chissà mai perché “sociale”), alle mascherine, alle mani lavate a ogni spron battuto, e soprattutto alla clausura. Città e borghi spettrali, con gli italiani in divisa mentale teutonica a rispettare e far rispettare quei divieti. Traffico azzerato, tutto chiuso, giusto qualcuno a portare fuori il cane bisognoso o un bimbetto alla ricerca di un poco d’aria fresca.
Se uno ricorda quei lunghi momenti, e li confronta con le zone rosse di pochi giorni fa, per non parlare dell’arancio, comprende che la natura profonda degli italiani ha ripreso il sopravvento. D’altra parte non si tratterebbe certo di rinascita, se nel rinascere si diventasse altro, e non se stessi. Si resuscita quindi come prima. E così il giallo, un tempo colore delle bandiere delle navi appestate dalle peggiori epidemie, diventa il simbolo delle guarigione che non c’è. Ma almeno abbiamo ritrovato noi stessi: intolleranti alle norme, scettici sulle competenze, esperti di ogni materia (e non solo di tattica calcistica), sospettosi col potere e propensi al lamento.
E così, per la nostra bellissima terra continua a valere il paradosso del calabrone: a dispetto di una struttura poco adatta al volo, vola comunque benissimo. Non in modo lineare, zigzagando, ma vola, volando con tutti i suoi difetti. Il che forse è la sua qualità principale.
Foto di Manuela Kohl da Pexels