Gli invisibili
Tutti i giorni dalla mia finestra vedo l’addetto alle pulizie che spazza con una di quelle scope vecchio stampo, quelle con i fili duri color paglia e il manico di legno. Ha i capelli grigi – anche se il bianco vince sul nero della gioventù – e la pelle di cartapesta, una mappa disegnata su carta umida, di quelle che restano raggrinzite una volta strizzate e non c’è verso di farle tornare lisce come prima. Ha una divisa verde e gli piace fumare una sigaretta a metà mattinata. Spazza, svuota i bidoni, si siede per qualche minuto e se ne resta lì a guardare l’erba. Non lo so a cosa pensa, ma di certo è qualcosa di intenso che gli deve occupare la mente. Ha lo sguardo fisso oltre quello che si vede e non nota chi gli passa davanti. Ho sempre ammirato questo tipo di concentrazione, una sorta di trance che fa sparire il mondo intorno e ci lascia soli con i nostri guai. Solo chi è a proprio agio con il silenzio riesce a starsene così, immerso nel mondo senza lasciarsi toccare né spostare.
Fa parte degli invisibili quest’uomo. Quella schiera di persone che entrano nella quotidianità di molta gente, i condomini ad esempio, ma non lascia il segno. Forse non lo vuole nemmeno lasciare. Penso all’espressione “lasciare il segno”, a quante volte abbiamo anelato questo famoso segno, questo strappo, un taglio nella carta, una macchia d’inchiostro, qualcosa di grandioso, di evidente. Pensavamo di restare impressi più facilmente nella memoria di qualcuno se i nostri colori fossero stati più vivaci degli altri, la nostra voce più forte, la nostra pelle più liscia, le nostre gambe più lunghe. Sempre un po’ di più per restare in cima alla lista degli amori, per non essere dimenticati.
Quest’uomo mi fa pensare alla bellezza dei tratti appena accennati, quelli delle bozze dei disegni. Tratti leggermente indecisi fatti a matita che contengono già l’idea di un disegno intero. Sono segni che non urlano ma sussurrano, grafite che si sente a suo agio con il foglio e non ha bisogno di diventare inchiostro. Una matita che non vuole diventare stilografica d’oro.
Quest’uomo con la scopa e la divisa verde rappresenta la bellezza di tutte le matite del mondo, il loro trionfo silenzioso e delicato mentre appoggia le labbra alla sigaretta ed esala fumo impalpabile. Gli passo accanto, accenno un sorriso, so che lui non saprà mai che ho scritto di lui, che l’ho visto o forse l’ho solo inventato. Non saprò mai se è davvero così, ma mi piace pensarlo in questo modo: un punto di grigio in un mondo che si ostina ad essere colore primario.