Furto 24 – Gianna
Gianna è invecchiata dietro il bancone del suo negozio, della sua putìa.
Credo di non averle mai visto la parte inferiore del corpo. Se avesse avuto la possibilità di studiare sarebbe diventata sicuramente una giornalista televisiva.
Il suo negozio ha quell’odore che sa di casa, ti arriva dritto in testa appena scosti la tenda a fili di plastica della porta. Odore di lavanda, odore di legna bruciata.
All’ingresso un cartello con scritto
La buon’anima di mio marito mi ha detto di dirvi che ci sono due scalini.
Scendi giù i due gradini del cartello ed eccola lì, nella sua postazione da battaglia, pronta a indicarti i tesori del suo piccolo bazar.
Quel minimondo se l’è sudato, Gianna non è figlia né di vecchi mestieranti, né di proprietari immobiliari. Gianna ha solo, e il termine solo è del tutto inappropriato, lavorato per anni succube di una vecchia che l’ha sfruttata e che, alla sua morte, le ha intestato il negozio per fare uno sgarbo all’unico figlio che aveva fatto fortuna in Italia e si era dimenticato di lei.
Gianna se l’è guadagnata la sua putìa, è stata lei a fare lo sgambetto alla vita (e a quella vecchiaccia).
E ne va fiera. Lo si capisce dalla cura maniacale con cui la gestisce. Ogni cosa è esattamente al suo posto, sempre. Che poi è tutto mischiato, non vi è alcuna differenziazione o categorizzazione per tipo, forma, colore. Nulla di nulla. Ma nel caos di Gianna tutto ha un senso, e il senso sta proprio nella immutabilità. Non hai il tempo di comprare quella cosa che ti serve che Gianna è già pronta a rimpiazzarla. Uguale. Immutabile. Nella sua putìa è possibile trovare anche le caramelle Rossana, che a me hanno sempre fatto schifo, ma sapere di averle lì mi rassicura.
Gianna è una donna schematica e rassicurante.
Tempo fa ho visto in una libreria un libro: Piccolo Canguro di Guido Van Genechten. Ne ho letto qualche pagina, parlava del mondo, dei suoi pericoli, della sua infinita grandezza, molto più grande del marsupio di Mamma Canguro. Ma Piccolo Canguro pensava che niente fosse così confortevole, comodo e caldo, e non ne voleva sapere di uscire a scoprire tutto quello che offriva il mondo fuori. Almeno finché non vede qualcosa che lo interessa molto, ma molto di più del marsupio: un canguro come lui che salta così bene e così in alto da fargli venir voglia di uscire e cominciare a esplorare il mondo. Il libro non finisce così, poco importa. Ho immaginato però Gianna come la personale mamma canguro del paese, il suo negozio schematico e organizzato come il marsupio. E ogni volta la stessa sensazione, non voler più andar via, restare accucciato fra gli scaffali del marsupio a sentire una sensazione di rassicurante sicurezza.
Sono uscito di casa per comprare una penna e un pacchetto di sigarette.
Da piccolo ci venivo con mia madre e ogni volta dovevo aspettare il suo aiuto per avere le mie penne, perché Gianna aveva deciso di metterle su un ripiano altissimo. Santocielo Gianna, le penne piacciono ai bambini, se le metti più in basso, più a portata di mano, loro le vedono, iniziano a frignare, e la madre malcapitata di turno finirà per comprarle. Business. Ma a Gianna non interessa e non è mai interessato, né far soldi, né tantomeno l’inglese (a parte la parola buttanisimi, che non è inglese ma lei la considera tale). Da Gianna si va a comprare quello che serve e non per curiosare o decidere al momento. Da Gianna ci vanno quelli del paese. E quelli del paese lo sanno.
Comunque ormai sono grande e ci arrivo da solo.
Me ne serve una. Blu.
La prendo blu perché non mi piace scrivere con la penna blu. A scuola ero maestro in perdite di tempo, diplomato in ghirigori. Intere pagine, se non quaderni. Capitava addirittura che mi mettessi a riempire i libri. E ti pare che avevano un senso? Macché. Oppure le firme, una passione patologica. Ho elaborato una ventina di prototipi differenti di firme da utilizzare in momenti non ben definiti. Prototipi che poi ho dimenticato, chiaramente, nel momento in cui avrei dovuto sfoggiarli.
Ero convinto che le penne fossero vicine al tonno in scatola. Cerco con la coda dell’occhio. Non le trovo. Gianna se ne accorge e da dietro il bancone rinsavisce.
Mi chiede cosa sto cercando e io sono costretto ad ammettere che avevo volontariamente evitato di rivolgermi a lei e fare di testa mia. Me le indica. Ne scelgo una.
Qui le sigarette non ci sono, questo lo so già. Una volta la putìa era anche tabacchi, ma il marito di Gianna era un fumatore cronico e dopo il terzo infarto consecutivo lei aveva deciso di non venderne più per aiutarlo a smettere. Poi morì, ma non per colpa delle sigarette. Cadde dalle scale d’ingresso del negozio e si ruppe il femore. Ma non fu neanche questo a ucciderlo, ma un problema che arrivò dopo. Ma Gianna si convinse che i colpevoli fossero proprio quei maledetti gradini.
La buon’anima di mio marito mi ha detto di dirvi che ci sono due scalini.
Pago, ringrazio ed esco. Gianna no.
Da piccolo mia madre aveva appena pagato la spesa e io dissi a Gianna che doveva dire grazie (sì, ero un bambino educato). Lei mi rispose che quelle appena comprate erano cose che ci servivano e quindi spettava a noi ringraziarla perché era merito della sua putìa se eravamo riusciti a trovarle e potevamo portarle a casa.
Quindi adesso, quando vado da Gianna, ho imparato che devo ringraziare e non aspettarmi ringraziamenti.
Credits
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Foto 2 da Wikipedia con Free Common Use
Foto 3 di Jess Bailey Designs da Pexels