Quando il mondo iniziò a ballare
Il sole, unico naufrago in un oceano celeste, scaldava con le sue carezze i visi all’insù di tutte quelle persone che approfittarono della bella giornata per fare una passeggiata. Chi era seduto sul marmo che divideva il lungomare dalla spiaggia, chi in piedi, chi mentre passeggiava, tutti fermi con un’espressione beata per poi, chi prima e chi dopo, realizzare il tenero spettacolo dei due cani che giocavano in riva al mare. Quelle code dritte che si agitavano all’impazzata e le lunghe falcate con le orecchie all’indietro per migliorare l’aerodinamicità, i corpicini che raggiungevano la loro massima estensione possibile, mostrando le costole del torace e spingendo le zampe fino ad un perfetto parallelismo con il suolo, tanto da sembrare che volassero, facevano salire l’adrenalina degli spettatori, quasi fossero loro a fare tutto quell’uso di energia.
Le persone si fermavano e li guardavano, inteneriti da una libertà e una gioia da invidia, si dice che chi era stato così, da bambino o in giovinezza, non se ne fosse reso conto e che realizzasse solo una volta invecchiato, ripescando statici ricordi come delle vecchie foto sbiadite con poca tecnica fotografica ma ricche di genuini sorrisi. Chissà se ai cani interessano queste paturnie, secondo me vivono il momento senza farsi domande. Così è. Quello è il momento di giocare, punto. Non si domandano se e quando succederà di nuovo, non rovinano il momento pensando a quando dovranno tornare a casa. Pelo lungo, corto, marroni, neri, bianchi, maculati, alti, bassi, vecchi e cuccioli, a loro non importa nemmeno chi è l’altro, vogliono solo un compagno con cui giocare e con cui correre a perdifiato, come se fosse l’ultima cosa da fare nella vita.
Alice li guardava con gli occhi umidi, né lei che li aveva così, né io che racconto, potremmo mai dire con sicurezza se quel principio di lacrime era dovuto dalla scena tenera o dalla malinconia.
La felicità era sdoganata e i rapporti interpersonali rivoluzionati.
Mentre il più piccolo dei due animali faceva una frenata improvvisa da far alzare la sabbia e invertire repentinamente la traiettoria, in modo da sfuggire all’altro, un uomo si tolse la tracolla della vergogna e la gettò con forza a terra, prese per mano la sua dimenticata gioia bambina e decise di correre in spiaggia, rincorrendo la felicità.
Leggenda narra che quello fu il primo che diede inizio al mondo che conosciamo oggi, in sua memoria in futuro gli avrebbero dedicato una statua in ogni città, fu chiamato “il felice ignoto”. La figura umana in marmo vede ai piedi due cani che giocano.
La gioia è come lo sbadiglio o la risata, contagiosa. Da lì a poco una coppia di giovani, mano nella mano, saltarono il muro che divideva la spiaggia dal lungomare e cominciarono a giocare, ridendo ad alta voce e buttandosi in acqua completamente vestiti.
La felicità era sdoganata e i rapporti interpersonali rivoluzionati.
Un anziano iniziò a cantare, una sua coetanea a ballare, un ragazzo la prese per mano e danzò con lei, la somma delle due età non contava, ma nemmeno la media; non importava nulla nemmeno ai due amici che si abbracciarono, alle due amiche che danzavano in acqua, ai gruppi misti che giocavano. La gente si riversò sulla spiaggia, chi giocava, chi saltava, chi era fermo a braccia allargate e con il viso rivolto al sole. Un uomo era sdraiato, il sorriso sulle labbra, gli occhi chiusi per il forte sole e la cravatta stropicciata sulla sabbia e dei bottoni inutili sparsi come bossoli dopo una sparatoria. Anche sul lungomare si videro scene simili, inchini, giochi, risate e abbracci tra persone di età, sesso e cultura diversi, non esistevano persone alte, basse, belle, brutte, magre o grasse. Ogni retaggio culturale saltò, esplose e si dissolse nell’aria trasformandosi in coriandoli colorati.
Il marciapiede era inondato di gente e il contagio si espanse oltre: negli spazi tra le macchine parcheggiate e in tutte le strade limitrofe, ovunque lo stesso scenario di gente allegra: chi aveva dimenticato cosa significasse ridere lo faceva sguaiato, chi non era riuscito più a piangere da troppo tempo, versò fiumi di lacrime, capelli e teste rapate luccicavano, ognuno a modo suo, risplendendo sotto il sole e i piedi battevano a terra su ritmi improvvisati accompagnati dalle vecchie sedute fuori i portoni che facevano lo stesso con le mani.
Le macchine si fermarono, autisti e passeggeri scesero e i bambini si allontanarono di corsa, la preoccupazione si era estinta. Puttane e puttanieri si guardarono negli occhi e scoppiarono in una risata. Ladri e faccendieri persero la memoria delle loro attività, non c’era più nulla da rubare, nessun intrallazzo da pianificare, i barboni furono presi per mano, i reietti abbracciati, gli invalidi rispettati e riscattati. I ciechi presero sulle spalle i normovedenti, furono viste carrozzine con due o tre persone che correvano all’impazzata.
Cos’era la paura? E la tristezza? Non lo ricordarono più.
La terra batteva, pulsava, era tornata a vivere. Alice era lì, insieme a uno, due, cento persone, non c’erano più rimorsi o rammarichi, sogni o necessità, passato o futuro. L’io e gli altri si mischiarono, l’individuo era ormai il noi, ma nemmeno quello contava, non contava più niente, né chi eri né chi erano gli altri.
Cos’era la paura? E la tristezza? Non lo ricordarono più. Dove erano finiti i pregiudizi, la malignità, la perfidia, l’intolleranza? Erano a terra, moribondi, calpestati dai piedi della gente che aveva deciso di essere felice. Si rialzarono in piedi le dignità di sé stessi, la voglia di vivere e i morali ingobbiti che si unirono a ballare con i loro compagni di vita, sopra ai corpi di ciò che li aveva sempre fatti sentire inadeguati.
Quella enorme festa proseguì tutto il giorno, nemmeno la notte la mandò a dormire, proseguì per il giorno seguente e quello dopo ancora, passarono settimane e anche dopo mesi erano ancora lì, un’allegria senza fine, un geyser per troppo tempo tenuto a bada e che poi esplode alzandosi in cielo a grande pressione. E oggi, a differenza di anni, non è cambiato niente, si dice che quello fu l’inizio di tutto. Fu il giorno in cui il mondo cominciò a ballare.
E da allora, non si fermò più.
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