Occhi
Avevo bisogno che mi guardasse così, che il suo sguardo mi facesse male, che il sospetto s’insinuasse in fondo alla sua anima e che mi dimostrasse con il suo corpo che era sempre me che voleva.
I suoi occhi freddi come quelli di chi vuole sapere, ma non ti chiede nulla, come quelli di chi ti ama con distacco e ti considera sua. Di chi è incapace di parole nuove.
Il tempo allontana e riempie la mente di pensieri che divorano sentimenti, generano ombre.
Crollano corpi e sicurezze. Crolla l’amore, ci cade addosso e ci ferisce.
Sì è vero, io lo avrei tradito volentieri, non aspettavo altro, ma l’avrei fatto o mi sarei fermata alla superficie non osando valicare il limite? L’asticella all’altezza del fiato. Lui me lo spezzava ogni volta che cercavo di respirare più a fondo.
Intercettava il mio sguardo ed io là, a cercare di assumere un’aria neutra a svuotare i miei occhi da ogni desiderio, a rendergli la fissità dello sguardo, per poi tornare al suo e scoprire che era sempre fisso su di me. Mi frugava dentro. Non capiva che non era me che voleva ma soltanto la rivendicazione del diritto all’esclusiva del mio corpo e della mia mente, per non perdere ciò che considerava suo.
Così mi aveva atteso dinanzi la porta della camera incurante della presenza altrui, in silenzio, perché ha dimenticato le parole, senza costruire frasi perché non erano necessarie, la conquista non ha scadenza, ma l’amore sì.
Mi aveva abbracciato trasmettendomi la forza e il senso del dominio perché bisogna rivendicare il possesso, ma più stringi più l’anima sguscia via, più stringi meno resiste. Il corpo invece risponde perché la rabbia non oppone resistenza, perché puoi sempre immaginare che l’altro non sia il tuo uomo, e non importa chi sia. In questo noi donne somigliamo agli uomini, possiamo fare l’amore con un’idea, voi con un corpo non importa a chi appartenga.
Non vi racconterò del sesso che è uguale da qualsiasi parte del globo, dolce, meno arrendevole, duro, ma è lo straniamento e il senso di potere che dall’uno passa all’altro che ci rende diversi. E allora chi è che conduce il gioco?
Chi ama perde, perde sempre. Così tu avevi creduto di aver vinto ed io te l’ho lasciato credere perché è necessaria una tregua per continuare, per scrollarsi le macerie di dosso e lasciarsi carezzare la pelle.
Ero fuori, dove tutto volava per aria una giornata di vento e di fruscii e il volume crescente come la sensazione di pericolo. Quello lo annusi nell’aria. La robinia sull’altro lato della strada, si lasciava tramortire e lei enorme con onde di mare verde simulava un respiro pesante, un saluto continuo ripetuto, ossessivo. Ed io salutavo il cielo, i marciapiedi sporchi di quotidiana noncuranza e bucce di banane. Salutavo le auto parcheggiate addossate le une alle altre come se fosse necessario occupare ogni varco, ogni spazio rischiando di scrostare vernice e rigare superfici. Nessuna fessura, nessuno spiraglio, nessuna scappatoia.
E così che la violenza cresce, si solleva assieme ai rifiuti e forma piccoli vortici che mescolano oggetti eterogenei, ormai inutili, sporchi. Questo eravamo tu ed io: oggetti costretti a vorticare insieme.
Ma tu hai un peso specifico maggiore ed io
sono divenuta vuota e trasparente.[/pullquote]
La polvere è adesso negli occhi, la sento scivolare verso il cuore e ricoprirlo. Batte ancora ma è un suono soffocato, sordo.
È un mondo distopico il nostro, dove i maiali hanno il potere e gli uomini non si reggono in piedi.
Dove le donne che danzano hanno appeso il tutù a un chiodo arrugginito.
E non riescono a credere che non è l’amore che muore, ma è un uomo che ti uccide.