Betting Betty
Era piuttosto scettica ma i pochi euro residui della spesa al supermercato, invece di lasciarseli in tasca per dimenticarli o regalarli in offerta al mendicante di turno vicino alla fila dei carrelli, stavolta decise di impegnarli in un piccolo “investimento”. Entrò nella tabaccheria – enalotto che ben conosceva. Anche loro la conoscevano bene; era l’unica che si distingueva, tra tabagisti e scommettitori. Lei lì dentro ci entrava solo per pagare, mai per prendere. Bollette, rate di finanziamenti, ricariche telefoniche. Circondata da gente addicted, soprattutto anziani, a un passo o già inesorabilmente affetti da ludopatìa. Li vedeva esultare per una vincita di dieci euro a fronte di centinaia spese in acquisto di “gratta e vinci”, o snocciolare come grani del rosario all’operatore i numeri da giocare sulle varie ruote. Questa immensa ipocrisia del fiorire dei vizi di Stato come alcol, gioco e fumo, da lasciar loro rovinare indisturbati persone e famiglie senza colpo ferire, a fronte della demonizzazione dell’uso di altre droghe o dipendenze a scopi personali l’aveva sempre disgustata. Pensava alla fragilità della condizione umana che ancora crede nella fortuna immediata e improvvisa, perchè torturata dai sogni e dai bisogni, e incapace di rimboccarsi le maniche, molto spesso. Forse era per il fatto che avesse ricevuto un’educazione piuttosto rigida e calvinista: guadagnarsi la vita e i suoi privilegi anche piccoli solo mediante il costante esercizio dei propri studi e talenti. Ora et Labora, per ottenere un posto, una casa, un amore e anche il diritto a tutto ciò. Per questo non aveva mai creduto nelle vincite al gioco. Fosse stata l’erede al trono di Inghilterra, avrebbe comunque scelto di lavorare, questo era sicuro. Del resto, Betty aveva sempre lavorato fin dalla fine del liceo, per pagarsi i concerti, i cinema e gli adorati viaggi. Studiando, sempre, contemporaneamente, facendo concorsi. Lei si era guadagnata la vita da sola; eh sì che era bellina, un tempo; il pollo danaroso come qualche amica aveva fatto prima di lei, se lo sarebbe potuto permettere, eccome. Ma sotto l’aspetto di Trilly delicata c’era un re Leone orgoglioso e ruggente che non chiedeva aiuti o elemosine a nessuno, neanche ai genitori, figuriamoci a un fidanzato; amava disporre delle proprie finanze in prima persona, sempre. Solo che, con il passare degli anni, le energie e le convinzioni cristalline cominciavano a vacillare, e anche le prospettive di dedicarsi in esclusiva alle sue passioni artistiche. LIbera finalmente da impegni familiari e lavorativi. Ma il tempo passa, inesorabile, la riconoscenza manca, l’entusiasmo diminuisce, i dolori, le delusioni e le perdite aumentano. In più, la sua città inospitale e volgare e senza grazia e senza mare cominciava veramente a esasperarla. Ora sì, che un bell’assegno di mantenimento le avrebbe fatto molto comodo, per guardare avanti. Ma lei per tutti era sempre stata quella allegra e creativa e ironica e mentalmente aperta, quindi tenuta a lavorare come un mulo per il bene degli altri senza lamentarsi mai. “Ma andate tutti quanti a cagare”, le capitava di pensare, spesso. Anche se spesso, poi, ci si sentiva in colpa, per quel pensiero. Il cuore gentile è tanto bello quanto pesante da possedere. Aveva capito cosa servisse subito, alla sua vita, perchè gli eventi evolvessero in fretta, e bene. Un’incredibile somma di denaro tutta insieme per sistemare la famiglia in una o più attività che li distraesse dal fare richieste sempre alla sua persona, lasciandola libera di costruirsi il suo piccolo regno sognante e artigianale in un posto marino, anonimo, tranquillo, antico. Con la sola compagnia di bestie quadrupedi e qualche buon amico“misfit”, come si era sempre sentita lei dentro la sua esistenza. Qualcuno lo aveva conservato, nel corso degli anni, che la pensava esattamente come lei. Senza più richieste alimentari, economiche, sessuali e psicologiche. Sola con i suoi sogni, la musica, i ricordi, i libri e il blu. Ognuno per sè e Dio per tutti, come si dice. E come fare, senza dover commettere una rapina? Tentare, ahimè, la fortuna. In cui Betty non aveva creduto mai. Quel giorno però una forza misteriosa l’aveva fatta entrare lì dentro con l’intenzione di giocare alla lotteria. Si era messa in fila, cercando dei numeri di riferimento, abbinandoli a date a lei care. Purtroppo coi numeri non ci sapeva fare, aveva intuito solo con le persone. Mentre era intenta in questi calcoli sentì un soffio profumato di menta avvicinarsi al collo sotto i capelli raccolti. E sussurrare: “Se hai bisogno di un suggerimento, ho dei numeri da darti, però ti devi fidare”. E arrivò alle sue orecchie un elenco di numeri. Anche la voce le sembrava di conoscere. Incuriosita, si girò a guardare: era una ragazza dai capelli rossi, gli occhiali sul naso puntuto, le guance piene e la pelle lunare. E un’originale ecopelliccia blu. Un po’ freak, come era lei. Certo, perchè era proprio lei, ossia quella era lei all’età di una delle sue figlie. Betty decise di restare muta di domande ad ammirare quel delirio miracoloso, e di avere fiducia. Dopo tanto tempo, fiducia. Arrivato il suo turno allo sportello, sciorinò i numeri che aveva diligentemente appuntato sul telefono. Si girò di nuovo per salutare il suo sè-angelo in pelliccia, ma non lo trovò. La immaginò allontanarsi sul marciapiede opposto e pensò, sorridendo all’impiegato: “Se mi va bene, il primo libro lo dedico a lei”.