Marachelle e malefatte
Guardare indietro per cercare esempi raramente è buona politica: anche perché vizi e virtù quelle sono da millenni. Cambiano i contesti, i costumi, le leggi ma l’umanità quella è: fa sempre i soliti errori umani, le stesse cattiverie efferate, gli stessi grandi gesti. Quindi meglio non trasformarsi in “laudator temporis acti”, perché indietro c’è poco da rimpiangere. Però l’etica tende a mutare, si adatta ai tempi. Dovendo rappresentare e interpretare il momento, si adegua. Il che non è necessariamente un bene.
Prendiamo la nostra amata patria, terra di infinite qualità, dalle bellezze naturali e umane senza confronti, dalla lingua soave, quella dove il dolce sì suona e, per dirla con Jean Jacques Rousseau: “Se c’è in Europa una lingua per la musica è quella italiana, dolce, sonora, armoniosa”. E ovviamente si può continuare, su miti e certezze della grandezza nazionale, in specie storica. Ma, come si diceva, l’etica è una parte più debole del patrimonio collettivo. E forse è giusto così, perché da rigide regole escono cose ordinate, ma non belle. Chi ha fatto cose bellissime non poteva stare ingabbiato tra i princìpi, perché la fantasia richiede ampi spazi, dentro e fuori.
Un cappello lungo, quasi un inconscio tentativo di rinviare (arte nella quale abbiamo della maestria), per non affrontare il tema che era l’obiettivo di queste righe, un po’ alla rinfusa.
Nella concezione che ci ha guidato per molto tempo, un luogo importante e ampio era dedicato al peccato. Nessuna disquisizione di natura religiosa e i connessi premi e punizioni stile Dante (impossibile non citarlo in questo anniversario): Diciamo che qui il tema è il peccato in senso laico, civile, e neppure giudiziario. Diciamo la malefatta, l’illecito etico. Prendiamo la politica, senza infilarci in questioni partitiche e personali. In una epoca non lontana, la marachella, quando commessa, si provava a mascherarla, dopo averla negata, oppure di giustificava con arzigogoli barocchi, con trappole dialettiche, perché non si poteva ammetterla: troppo disonore. In fondo una specie di etica dell’illecito, secondo il sacro motto del si fa ma non si dice.
per dirla con Jean Jacques Rousseau: “Se c’è in Europa una lingua per la musica è quella italiana, dolce, sonora, armoniosa”
Ma bisogna restare fiduciosi dell’oscillare della umanità. Tutto passa e ricomincia.