La colazione dell’antieroe (Bisanzio addio)
Sul mio divano ci sta un libro di liriche greche tradotte da Quasimodo e uno di storia dell’impero Bizantino. Ecco, bravo, sbrodolati: in una riga c’è quanto basterebbe a far fuggire i tuoi pochi lettori. Ma non mi voglio sbrodolare, qui l’unica che sbrodola è Saffo e le sue ninfette e in quanto ai bizantini lasciamo perdere. Magari di loro dirò qualcosa più avanti. Credo di aver sognato Saffo in compagnia di Giovanni VIII Paleologo. Lussureggiavano, ma alla maniera degli ionici. Che significa: non dicevano cose tipo fuck, I’m cumming again, you bitch e via dicendo. Dicevano cose simili, ma in greco antico. E poi le decantavano. E tu cosa facevi? E boh, che cazzo ne so. É un sogno di merda, abbiate pazienza. Se avessi letto Topolino magari avrei sognato quei buoi di Orazio e Clarabella. Se fossi un potenziale eroe avrei sognato di scannare i maligni e regnare come un novello Salomone in un mondo di giusti. Ma niente, io sono un antieroe. E quelli sono i libri che intravedo stamattina in penombra sul mio divano. C’è una flebile luce che preannuncia l’alba e un avambraccio congiunge il mio mento al tavolo, mentre l’altro avambraccio mulina in modo tale da permettere al cucchiaino di mescolare latte e cornflakes. La colazione dell’antieroe.
Il primo raggio arriva come un proiettile dalla finestra della sala e lambisce l’occhio destro, che il sinistro è chiuso ancora. Le palpebre non oppongono resistenza, del resto la luce è intensa ma non fastidiosa. Lentamente anche l’occhio destro cede alla tentazione di accogliere i doni del Dio Sole. Che intanto sbuca per un terzo della sua circonferenza dalle piante che ricamano l’orizzonte oltre il campo di (non so cosa ci pianta quest’anno). Mi porto il cucchiaino alla bocca e quando ho deglutito l’astro è già a metà. Sulla linea dell’orizzonte assieme agli alberi c’è una strada. Piccole auto attraversano il sole al suo equatore. La stanza è oramai illuminata di ocra e una qualche nota mi gira per la testa.
Il sole è ora una grande palla e il cucchiaino è sceso verso la tazza ma non ha trovato l’imboccatura ed è rimasto come conficcato nel tavolo. Ancora per qualche minuto il sole si lascerà osservare, poi occorrerà distogliere lo sguardo o si farà la fine della moglie di Lot. Oppure di Icaro, che ha voluto sfidarlo e stang! si è ritrovato maciullato a terra. Però che bello che è questo sole nuovo. É il primo giorno che si vede spuntare a quest’ora. Ancora ieri era il tungsteno a illuminare la mia colazione da antieroe, oggi è il sole. Prendo lo smartphone e provo a fermare il tutto in una milionata di pixels. Ne viene fuori un mezzo aborto. Fidati solo degli occhi. O di obiettivi da mille mila euro, ovviamente. Allora uso lo smartphone diversamente: apro Spotify. Sono indeciso tra i Pink Floyd e Strauss. Vince l’asburgico. Wiener Blut. Schiena appoggiata allo schienale della sedia, mani incrociate dietro la nuca. Non rimane che aspettare che venga tardi per andare a lavoro.
Bene, vorrei ora dire che tutto ciò sta a simboleggiare nuova vita, nuove occasioni, in poche parole primavera. Ecco, se parliamo di stagioni naturali, l’ultima dell’elenco mi pare vicina: soli mattinieri, margheritine, ascelle sudate, odore di prato misto a letame. Se parliamo di vita, che dire. Mi pare che i piaceri siano pochi e le preoccupazioni tante. Si tira avanti ha pensionato il classico tutto bene, grazie. Se fossi un eroe vi direi cose che vi facciano stare bene, vi direi che in questo periodo difficile ho invece trovato risultati e risposte, vi racconterei di come ho sfruttato la crisi per svoltare. Invece sono sempre qui a unire mattine con sere, lunedì con domeniche. Ogni giorno a scuola incrocio un bambino che ci tiene a farmi sapere che suo padre è più grande di me. Anzi, talvolta mi chiede il perché suo padre sia più grande di me. Grande cento più di te, dice. Non credo che tra venti anni lo annovereremo tra i laureati di Oxford, tuttavia a suo discapito va detto che è assai piccolo e potrebbe migliorare. Ecco, ci sono giorni che faccio spallucce e sorrido, altri che gli chiedo se oltre a essere grande suo padre ha anche figli intelligenti, altri ancora credo che tutto sommato abbia ragione e non certo riguardo all’altezza. E sono quei giorni in cui al mattino mi trovo a guardare il sole sorgere ben sapendo che potrebbe essere il momento migliore di tutta la giornata. Un novello Ciaùla che esce dalla miniera e scopre che esiste la luna. E piange.
L’ultimo pensiero va a Bisanzio. O Costantinopoli, se preferite. Immagino il crepuscolo dell’Impero, gli ultimi giorni prima della caduta in mano turca. La fine di un regno durato oltre mille anni, figlio ed erede di Roma. Una storia immensa che sta per finire per sempre. Un impero territorialmente oramai ridotto alla sola capitale, che pure le sue ultime ore le viveva nella discordia e nel sotterfugio. La difesero in circa tremila uomini, che a dirla tutta non erano manco più di Bisanzio bensì veneziani e genovesi che di preciso non si capiva cosa cazzo gli dicesse il cervello. La seconda Roma era stata dimenticata da tutti. Povera Bisanzio, che per secoli aveva difeso la cultura e la memoria dei bei tempi antichi da gente bionda che grugniva e gente olivastra che salameleccava. Del resto era oramai poco più che un relitto di gloriosi tempi passati. L’ultimo imperatore morì combattendo. Lo immagino guardare il sole per l’ultima volta e augurare i peggio cancheri ai turchi e pure a Maometto. E questo è tutto, insomma. La silenziosa fine di un paziente geriatrico, dimenticato dal mondo in qualche ospizio di periferia.
Non sono tempi da eroi questi che stiamo vivendo, da antieroi piuttosto. Non sono tempi da Roma, da Bisanzio piuttosto. Il sole si è fatto oramai insistente. Mi bruciano gli occhi, è tardi e devo andare a farmi perculare da un poppante con un grande papà. Glory days, direbbe il vecchio Bruce.