Resistenza all’intermittenza
On/off.
Su/giù.
Acceso/spento.
Mobile/fermo.
Aperto/chiuso.
Qui è tutto a intermittenza. E io mi sento come una pallina sull’albero di Natale, che un momento è illuminata e quello subito dopo no. E però io, così, non ci capisco niente e vado ai matti. E poi, siamo sinceri, a nessuno piace stare nell’ombra, figuriamoci nel buio. Anche se, adesso che ci penso bene, quando tenevo sì e no un paio di anni e stavo a casa dei nonni in braccio a nonna Maria, mi divertivo assai ad alzare e abbassare la levetta dell’interruttore della luce. A quei tempi l’intermittenza non mi stava così ‘nganna come oggi. Evidentemente crescendo ho perso il ritmo psichedelico. E forse pure un poco di Psiche. Amore, poi, si è proprio smarrito per la via.
Vabbuò, comunque con questa cosa dell’intermittenza devo trovare il modo di fare pace. Magari la chiave sta nel catturare quanto più on, su, acceso, mobile e aperto possibile, cogliere gli attimi in cui di scena ci sono loro e riempirmene i polmoni con quei famosi respiri profondi che il medico ti dice di prendere quando ti visita con lo stetoscopio. Facile a dirsi, difficile a farsi. Già, perché è proprio questione di attimi, come quelli di dimenticanza di cui, secondo Totò, è fatta la felicità.
È proprio questione di attimi, come quelli di dimenticanza di cui, secondo Totò, è fatta la felicità
L’intermittenza sa di precarietà, qualcosa che ora ci sta e un momento dopo già non ci sta più. La chiamano flessibilità: la capacità di adattarsi a situazioni soggette a mutazioni continue. Detta così suona meglio effettivamente, ma preferisco restare nella mia rigidità, continuare a guardarla in cagnesco e opporre resistenza all’intermittenza.
Se luce deve essere, che luce sia. Se buio deve essere, che buio sia. Ma che sia l’una o l’altro. Prima che l’intermittenza fulmini ogni barlume di speranza.
Copertina Photo by Lily Banse on Unsplash