Un matrimonio mandato all’aria
Lavoravo in questa fabbrica da molti mesi ormai. Niente vita sregolata, niente nottate, niente abuso d’alcol. Mi ero messo in riga. O meglio mi ci avevano messo dopo il ricovero in ospedale. Esami con valori completamente sballati. Stavo andando incontro a un infarto. Questo mi avevano comunicato i medici. A malincuore avevo dovuto darmi una calmata.
Dal mio ufficio che condividevo con quello che era diventato un mio carissimo amico, Massimo, gestivo gli ordini della merce da inviare in America. La mia conoscenza della lingua inglese e quella spagnola – appresa quando condividevo la cella con un ispanico – mi aveva permesso di trovare questo lavoro, che non era di certo come fare il giornalista, ma mi aiutava ad arrivare alla fine del mese senza particolari problemi.
L’ufficio era una piccola stanza sopraelevata rispetto alla fabbrica vera e propria, circondata da una grande vetrata che mi permetteva di vedere tutto ciò che accadeva di sotto. Gli operai iniziavano il turno alle sei di mattina e staccavano alle due di pomeriggio, poi dalle due alle dieci con un altro turno e così via per otto ore filate di lavoro. Noi montavamo alle nove e staccavamo intorno alle diciotto. Il proprietario era un brav’uomo ormai in avanti con gli anni, al contrario del figlio, un fannullone che pensava come dilapidare il patrimonio di famiglia nel minor tempo possibile.
Quando di tanto in tanto si ricordava che l’azienda sarebbe diventata sua in futuro, si presentava a lavoro e trascorreva l’intera giornata vessando gli operai. Se non avessi avuto così bisogno di quell’impiego, lo avrei appeso al muro mandandolo poi in ospedale. Dalla prima volta che avevamo fatto conoscenza ci detestavamo reciprocamente.
Massimo era un caro ragazzo, in procinto di sposarsi con Ester. Anche lei non mi aveva fatto tutta questa gran simpatia. La vedevo solo come una sanguisuga attaccata al suo portafogli e non legata sentimentalmente. Lui stravedeva per lei e io ovviamente non mi facevo condizionare dalle apparenze. Se a lui piaceva mi andava bene così.
Intorno al Natale l’azienda organizzò la cena di auguri. Non avevo molta voglia di andarci. La classica rèunion di operai con annesse mogli e fidanzate in una serata in cui tutti dovevano sembrare contenti di stare lì, di salutare i proprietari e di ricevere in regalo il panettone con quelle merde di canditi dentro. Massimo insistette perché andassi. Accettai soltanto per non sentirlo più frignare.
Mi passarono a prendere da casa assieme a Ester. Non abitavamo così lontani. Lei era tutta in tiro e non era niente male, se devo dirla tutta. Quando la cena finì, quel coglione di Mauro, il figlio del proprietario in preda all’alcol, iniziò con le sue battutine nei miei confronti.
Goodson, facci uno dei tuoi famosi brindisi. Goodson, raccontaci una delle tue barzellette che non fanno ridere nessuno.
Io stavo zitto e calmo nonostante avessi una gran voglia di prenderlo a pugni. Massimo non era abituato a bere e crollò su un divanetto. Si ballava tutti nella sala adibita dal ristorante. Mauro, sapendo di non avere gli occhi addosso del mio amico, iniziò a flirtare con Ester che di certo non sembrava tirarsi indietro. Lui, con la scusa di invitarla a bere qualcosa o ballare, aveva sempre le mani sul suo culo e mi guardava con aria fiera come a dire io posso tutto su voi.
Quando fu l’ora di tornare guidai io. Lei non aveva patente e lui era sdraiato dietro, collassato. Lo presi in braccio e lo portai su fino al letto. Lo misi a dormire. Lei era giù nel salone e quando stavo per uscire disse:
– Sal, ti offro qualcosa, vieni qui.
– Devo andare, grazie. Sarà per la prossima volta – risposi.
Mi arrivò vicino e strusciò la sua mano sulla mia patta. Gliela tolsi e le dissi che non era il caso.
Tornai a casa e decisi che avrei raccontato tutto a Massimo. La mattina seguente lo bloccai durante la pausa pranzo e gli raccontai che Mauro ed Ester erano stati tutta la sera a ballare assieme sfiorandosi e con le mani fuori posto. Poi dissi che ci aveva provato anche con me. Massimo si fece una risata e mi disse:
– Sai com’è Ester. Stiamo per sposarci. Non farebbe mai nulla che potrebbe farmi star male.
Avevo capito che era completamente infatuato e non gli avrei fatto cambiare idea. Un giorno, avendo una visita di controllo prenotata in ospedale, presi un permesso. Quando stavo rientrando a casa, passai davanti casa di Massimo. Notai la macchina di Mauro parcheggiata nel vialetto. Feci retromarcia e mi parcheggiai poco lontano. Attesi con la videocamera del cellulare attaccata finché la porta si aprì.
Quel porco e sudicio aveva finito di scoparsi Ester e se ne andava. Lei lo seguì fino alla sua auto e si diedero un bacio lungo. Insomma, limonarono all’aria aperta come due adolescenti. Bastardi tutti e due.
Quando partì ed Ester rientrò, misi in moto e tornai anche io a casa. Inviai un sms a Massimo e gli dissi di passare da me dopo il lavoro.
Puntualissimo suonò al campanello ed entrò. Lo feci accomodare e, preso dall’ansia, mi disse:
– Sal così mi fai preoccupare
– Ne hai di motivi per farlo – risposi.
Poi feci partire il video incriminato. Non proferì parola. Scivolò lungo la sedia quasi fino a cadere. Era bianco e chiese qualcosa da bere.
– La devono pagare, bastardi! – urlò.
– Se fai fare a me, so come non fargliela più dimenticare questa storia.
Spiegai cosa avevo in mente e acconsentì subito.
Dopo qualche settimana arrivò il giorno delle nozze. Eravamo tutti invitati. Dopo la cerimonia in chiesa, andammo tutti al ristorante. Avevo deciso di ubriacarmi come i vecchi tempi. Anche Mauro era fradicio e come sempre iniziò a prendersi gioco di me. Glielo feci fare. Gli portavo da bere e qualsiasi cosa chiedesse io ero pronto a soddisfarlo.
Prima del taglio della torta come oramai è consuetudine gli amici e le amiche degli sposi diedero il via alla visione di filmati strappalacrime. Io ero in fondo alla sala che finivo di scolare una bottiglia preparandomi al gran finale.
A un tratto Massimo ringraziò tutti con un discorso molto ambiguo e poi mi invitò ad avvicinarmi per regalare ai presenti “qualcosa di indimenticabile”.
Leggermente barcollante attraversai il corridoio degli invitati che si apriva davanti a me, ridacchiando. Passato davanti a Mauro, sussurrai sottovoce:
– Accomodati pure, inizia lo spettacolo.
Mi lanciò un’occhiataccia, ma non poteva mai immaginare cosa lo aspettasse.
Massimo e io ridevamo. Qualcun altro forse per coprire quell’imbarazzo si accodava a noi.
– Buio in sala – ordinai ai camerieri. Si spensero le luci. Partì il video.
Per una decina di secondi rimbombò un forte silenzio, poi non si capì più nulla.
Botte da orbi tra i parenti, bottiglie per aria, grida.
Mauro mi si lanciò contro urlando te la faccio pagare Goodson!
Massimo, che era a metà tra me e lui, allungò il piede e lo fece ruzzolare addosso alla torta che ormai era diventata un ammasso informe di panna. Non riuscì ad alzarsi.
Scappammo fuori. Io avevo già preparato tutto. L’auto piena delle mie cose.
– Non saprò mai come sdebitarmi, Sal.
– Beh potresti lasciarmi qualche centinaia di euro per la benzina Massimo. Da questo esatto momento sono al verde.
Rise, allungò nella mia tasca una delle buste piene di soldi ricevute per regalo e mi abbracciò.
Prima, seconda, terza marcia. Dallo specchietto retrovisore vedevo quel prendi in culo di Mauro inseguirmi e Massimo salutarmi.
Alla radio davano il notiziario. Erano le venti in punto.
Tra qualche ora sarei piombato nelle vite di perfetti sconosciuti.