Il futuro dell’italiano
Va bene. La polemica è vecchia, e magari è pure oziosa. Ma la situazione nel tempo si fa quasi insopportabile. Ancora peggio è il paradosso che c’è alla base. Proviamo a chiarire a noi stessi i termini della questione. L’Italia è al trentaseiesimo posto in Europa nella conoscenza delll’inglese. Non pare un gran successo. Ebbene questo non ci impedisce di essere degli anglofili spudorati nel parlare un italiano inutilmente infarcito di terminologie anglo americane.
Tanto per capirci: che differenza passa tra un report e un rapporto? Oppure tra un sentiment e un sentire o sentimento? Pare difficile distinguerlo. E che dire della short list e la lista corta? Ma c’è un monosillabo insopportabile: top, in tutte le sue varianti funzionali. Essere al… fare il… avere raggiunto il…, oppure manager e così via. Perché tanta ostilità per massimo, vertice, apice, punta e simili? Risposta: perché è più sintetico, semplice. Giusto. Allora serve una spiegazione: perché mai chief executive officer (Ceo) è chiaramente preferito ad amministratore delegato (Ad)? E perché se uno ammette qualche proprio inclinazione, in particolare di natura sessuale, fa coming out? Confessione fa così schifo? Prima avevamo le stelle del cinema. Ora quelle sono tramontate e sono sorte le star: tutt’altra roba.
Prima avevamo le stelle del cinema. Ora quelle sono tramontate e sono sorte le star: tutt’altra roba.
Gli esempi sono francamente troppi, ma uno è imperdibile. Da sempre quando un portiere non riusciva a bloccare la palla, ma solo la respingeva, arrivava un avversario e la ribatteva in rete. Oggi cosa fa un avversario? Fa un tap in. Oppure in politica, l’uomo di punta si è travestito da front runner.
E la parola free? Senza Covid diventa covid free. E senza glutine, gluten free, e poi il green, che non ha bisogno certo di esempi. E perfino le camicie no iron. Si può fare un intero dizionario del provincialismo nazionale, per non parlare delle pubblicità, specie di automobili, dove il latinorum del Manzoni si fa “inglesorum” per stupire lo spettatore.
Non si discute della forza di una lingua che in materia di tecnologie e finanza non fa che sfornare nuove parole, tanto da essere diventata l’esperanto del mondo. E merita un inchino. Quel che infastidisce è la piaggeria linguistica, il provincialismo lessicale, la sudditanza modernista.
Siamo, nell’anniversario dantesco, le genti del bel paese là dove il sì suona. Ed era chiaro nel tredicesimo secolo. Nel ventunesimo potremmo ricordarcelo. E mentre l’italiano spopola all’estero come materia di insegnamento, qui ci ingegniamo a depauperarlo. Come un nobile sciocco che dilapida il patrimonio degli avi. Ma se è vero che quasi la metà degli italiani non comprende un testo di media difficoltà, il resto segue… Un piccolo memento per questo nuovo governo, nel quale si parla sempre del futuro degli italiani.