A te, Teatro
Teatro, oggi è a te che scrivo.
Mi manchi, mi manchi come se di carne fossi fatto, come se la tua presenza mi fosse stata negata da un cancro improvviso, da un burattinaio bastardo che si prende gioco di me, e di noi, e della vita, perché la tua assenza è per me come asfissia d’aria, come finestra sbarrata che più non vuole aprirsi.
Mi manchi per la possibilità che mi davi di sceglierti, e di coccolarti con i miei occhi, i miei sorrisi, con quell’assurda emozione che ogni volta riuscivi a donarmi nel momento esatto in cui lui, proprio lui, il primo fra tanti a parlare, a muoversi o sol anche respirare, ti faceva rivivere e mi faceva vivere.
Mi manchi per la sensazione di sana scomodità che ogni poltrona, ogni sedia, ogni scalino mi lasciava addosso, come se il mio corpo incontrandoti fosse in continua trasformazione, come se fossi irrigidito da un abbraccio inaspettato, e il cui contatto richiedeva tatto, tempo, abitudine, ascolto.
Mi manchi perché ogni volta la mia mano finiva fra i capelli, davanti agli occhi ad asciugare, a coprire le mie labbra, con l’urgente necessità di condividere ciò che era stato, ciò che era passato, ciò che mi avevi traghettato dentro.
Mi manchi teatro e questa non è una banale dichiarazione d’amore, questa non è una sterile denuncia, una bieca malinconia, un disilluso sfogo di circostanza. Questa è una lamentazione, teatro, è il grido di un familiare che assiste alla sepoltura del proprio caro, è un dolore che parte dalla pancia e arriva dritto in testa e non lascia fiato, perché ti sto perdendo, Teatro, ti perdo e mi perdo, inerme e sconfitto in quest’Italia che ti schifa.
Dove sei teatro? Dove sei finito?
Mi manchi e io mi sento come perduto. Dove sei teatro?
Dove sei Medea, dov’è finito il sacrificio del vello d’oro che t’ha fatto perdere il senno, e l’amore, che t’ha tradita, e ingannata, e ti ha resa umiliata. Dove sei Claudio, dov’è finito il tuo meschino procedere, la tua cieca mancanza di indugio, e tu Amleto, perché la tua voce rimane ingabbiata fra le pagine di un libro. Dove sei tu, Antigone, donna, femmina ribelle e disgraziata, e tu Nora, la tua pelle scottata dall’ipocrisia, Ofelia, la tua pazzia, Mirandolina, Porzia, Konstatìn, Lady Macbeth, Enrico IV, Giulietta, Don Giovanni, Elena, Amanda, Sonja, Willy, Iago, Blanche, Nina, Puck, Mercuzio, Santuzza, Titina, Vladimir.
Dove sei? Dove siete?
Questo lamento è tuo, Teatro, tuo e di nessun altro, ed è a te che lo rivolgo.
“Il teatro era una possibilità.
Non tanto l’arte
quanto la possibilità
di essere costantemente tra esseri umani”Thomas Bernhard – L’apparenza inganna
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