Confini
In questi tempi incerti ogni Paese ha scelto di dare un nome al proprio isolamento. Noi abbiamo preferito il termine anglosassone “lockdown” che suggerisce l’immagine di un blocco, un catenaccio pronto a tenerci tutti chiusi, immobili. I nostri cugini oltralpe hanno preferito il patriottico “confinement”, così come i portoghesi con il loro “confinamento”.
Hanno scelto di pensare ai confini, ai contorni. Questo concetto ha iniziato ad affascinarmi facendomi pensare a cosa c’è dentro a queste delimitazioni, nello spazio bianco che i bambini si ostinano a colorare, spesso uscendo fuori per poi ritagliare lungo quelle stesse linee di delimitazione e dare nuova vita al disegno. Concentrarsi sui confini vuol dire fare attenzione a ciò che c’è dentro, all’essenza delle cose che ci sono passate davanti per una vita. Abbiamo imparato a dare valore alla manualità: impastiamo, modelliamo, creiamo, piantiamo. Abbiamo imparato a conoscere le mura di casa nostra come mai prima impregnando le pareti di ricordi nuovi, conversazioni mai avute prima, quotidianità che non erano mai state un’abitudine. Corriamo – scappiamo – di meno, di colpo consapevoli dell’ineluttabilità delle cose. Non tutto si combatte, si prende a morsi, si prende di petto con la famosa grinta sbandierata con orgoglio ovunque. Si sta anche fermi, in ascolto, seduti al confine a capire dove stiamo andando, quanto abbiamo fatto entrare nei nostri contorni neri disegnati tanto tempo fa da un bambino che è poi diventato adulto e ha smesso di colorare.
È un raccoglimento generale e non solo un raccogliersi nelle proprie case, ma un processo di raccolta di sé stessi. Si raccoglie quello che si è lasciato a terra e spesso anche quello che non ricordavamo più di avere come pezzi interi di storie che ci siamo scrollati di dosso in fretta perché impegnati a correre.
Nei miei confini talvolta ben colorati, altre volte malamente ridotti, ci sono milioni di granelli di sabbia, un ago e un filo, libri che vogliono essere aperti, forni che vogliono essere usati. Non combatto più il susseguirsi sempre uguale degli eventi, le tende che apro al mattino, il caffè che verso ogni giorno nel latte, la sveglia che suona puntuale. Imparo ad accettare questi contorni tratteggiati sul cartoncino sapendo che nulla rimane com’è e cambieranno presto forma. Nel frattempo, mi insegnano a contenermi, “tenere con, tenere insieme”.
A noi che ci siamo sentiti così rotti, questa storia ci insegnava a tenerci insieme e nemmeno lo sapevamo. Vi auguro di colorare quello che c’è dentro la linea nera, non si sa mai quando vorrete ritagliarlo e attaccarlo in un posto nuovo.