Pometrò, parole per il teatro: Francesco Limite
Pometrò è uno spazio aperto, un luogo libero per gli autori, gli scrittori e i poeti di “Poesie Metropolitane”. Una rubrica dedicata “Alle parole per il teatro”: opere inedite: una poesia, un componimento in prosa, un racconto oppure una sceneggiatura che possa essere pensata per il teatro.
In un periodo così buio e teso, crediamo che la parola sia tra i pochi spazi ancora liberi. Così, armati di bellezza e poesia, vi accompagneremo in questi giorni con questa nuova rubrica
. Che possa essere un momento di fuga e di riflessione e di distacco dal cumulo informativo dal quale siamo bersagliati ogni giorno e al quale siamo soggetti.info: pometro.poesiemetropolitane@gmail.com
Oggi vi presentiamo: Francesco Limite
Biografia: Francesco Limite, diversamente giovane, laureato quasi inutilmente. Assistente di volo, direi per forza, per trent’anni. Rimatore da molti secoli esclusivamente in vernacolo, il quale non vive questa condizione come una diminutio, e chest’è.
Opera: Il tifoso che vive in me.
Il tifo: “La febbre tifoide è una malattia infettiva”.
Il tifo sportivo: “Fare il tifo, parteggiare con accesa passione per una squadra sportiva o per un atleta. Per estens.: essere accanito sostenitore di qualcuno per il quale si dimostra entusiastica ammirazione”.
Che il tifo sportivo, e calcistico in particolare, sia una malattia non lo dico io. C’è una lunga e storica serie di motivazioni per cui la “passione” calcistica viene definita tifo, ma qui non è il caso di riportarle. Sta di fatto che, se le parole sono pietre e pesano, avere definito così la passione per una squadra e tifoso chi ne è “affetto” certifica che il tifo calcistico è una malattia.
Io ne sono affetto.
Parto dalla definizione di passione: la passione, in senso lato, viene definita, “un sentimento impetuoso, basato sui piaceri procurati dai nostri sensi e che può impedire il controllo della ragione”. Applicare ed estendere il concetto alla passione calcistica non richiede arzigogoli lessicali particolari: il tifo è una passione che procura piaceri inenarrabili, dolori immensi e, ahimè, talvolta, impedisce “il controllo della ragione”.
Esempi di “distorsioni” tifose (scontri, invasioni, danneggiamenti) sono avvenute in ogni parte del mondo e Napoli non fa eccezione. Ma fortunatamente, da un po’ di anni, non si associa il tifoso napoletano, automaticamente, al tifo violento anzi, anche i detrattori, e non sono pochi, sia pure “ntrattacore”, riconoscono un aspetto del tifo napoletano, quello vero, non violento, quello col quale mi identifico e che non ha eguali: l’ironia, lo sfottò, la presa in giro innocente. Basti a questo proposito riportare la risposta dei tifosi azzurri ai ripetuti cori: “Vesuvio, lavali col fuoco; scappano anche i cani stanno arrivando i napoletani” in quel di Verona: “Giulietta è ‘na zoccola (che non è il femminile di zoccolo!).
Insomma, ma forse sono partigiano, il tifo per il Napoli ha un non so che di gioioso, allegro ed il tifoso napoletano, in genere, recupera razionalità al termine dei novantacinque minuti. Altro aspetto precipuo del napoletano tifoso: puoi essere napoletano e non essere amante del calcio, è concesso, ma il concepimento deve essere avvenuto in trasferta; puoi essere/diventare tifoso di altre squadre perché ti piace un giocatore che vi gioca, è concesso, ma tanto bbuono c’ ‘a capa nunn hê ‘a sta! Ma se “la schifezza” (Eduardo, Questi fantasmi, n.d.a.) i tuoi genitori l’hanno fatta qui, in questa città tua madre ti ha partorito, tuo padre ti ha trasmesso giusti valori e quindi sei amante del calcio, sei tifoso del Napoli, devi esserlo: è automatico, spontaneo, inevitabile, nun nce sta niente a fa’ (d’altra parte, se Napoli è unica tra le grandi città italiane ad avere una sola squadra, un motivo dovrà pur’esserci, o no?!).
Quello che non poteva e non può, quello che non doveva e non deve capitare ad un napoletano, è essere tifoso della sxxxxx anche se dovesse giocarci il più grande giocatore del mondo. Questo è, non solo, anormale ma non deve darsi in natura, poiché è contro natura. Napoletano-schifentino? Una contraddizione in termini, un ossimoro! Dovesse verificarsi un’eventualità del genere, il soggetto colpito da tale morbo o jattura deve consultare l’albero genealogico, se non basta sottoporsi ad esami clinici, verificare il Dna, i cromosomi: qualcosa deve essere andato storto. Essere tifoso, per me, è seguire la squadra, non necessariamente fisicamente, dovunque giochi, in qualsiasi serie e contro chiunque. Quei novanta minuti sono una trans indescrivibile, le sofferenze e le gioie sono inenarrabili. E per il tempo della partita non si ragiona, la corda della razionalità è chiusa, “e ‘nchiusa restarrà” (Eduardo) per novanta minuti, e si tifa.
E se la squadra gioca male, perché non è in forma o perché è proprio scarsa (ne ho viste di “pippe appilate” al San Paolo!) non si discute, né si critica, si ama, si esulta e si soffre con essa. Poi, alla fine, si riapre la chiave della razionalità e, a mente fredda, si critica, eccepisce, si discute, fino alla prossima, quando la si richiude e si torna tifosi!
Avendo da bambino un’avversione totale per lo scontro, la violenza, ultras non sono e non potevo diventare. Ma quando guardo la partita, guai a chi si permette di criticare: “Ma pecchè nunn ha miso a caio, era meglio tizio, chist’è ‘na chiaveca”. Che incacchiatura se chi mi sta vicino si distrae col telefonino, si mangia prima, mai durante, a meno che non si tratti di un panino, secco, che non c’è bisogno di stare attenti, di guardarlo per mangiarlo, insomma: no sasicce e friarielle o mulignane sott’uoglie, o nell’intervallo ma, ’e pressa ‘e pressa. Il posto non si cambia, se pensi di aver trovato un portafortuna, io ho il ciucciariello , non ti scordi di posizionarlo di fronte al televisore e potrei continuare con gestualità e riti scaramantici che mi concedo, a josa, solo in quei frangenti… Io non sono superstizioso, ma non nego che a volte mi capita di pensare alla Peppino: non è vero ma ci credo!
Completo il quadro elencando le caratteristiche tipiche della malattia:
1)“Sindromi morbose”: regolare la giornata della partita in base ad i suoi orari. Partita alle 15.00? Inizio coinvolgimento totale ore 13.00, collegandosi con le tv locali per sentire laqualunque. Si mangia alle 14.00, non oltre; se di domenica, primo, secondo e contorno, eventualmente frutta. ‘O dolce? No, nell’intervallo e si ‘e ccose vanno bbone, se no desisti. Il posto non si cambia, anche in presenza di ospite: “Agge pacienza!”, ma se è tifoso e lo deve essere se no a casa non entra, vi capirà!; ‘o ciuccariello, mio compagno fisso, già citato, che mi fa compagnia si posiziona alle 15.45, né prima né dopo, preciso.
2)Stati di “di natura infettiva”, basta osservare i figli di chi fa le cose di cui sopra, quindi anche i miei.
3) Sintomi: “febbre elevata e offuscamento della coscienza” e mettiamoci pure ‘o calore, ‘o calore e sudoramenti. Quanto agli “offuscamenti”: cancellazione dell’audio perché i commenti, a torto o ragione, ti arrivano contrari alla tua squadra.
4) “Adinamia” in particolare cardiaca… mettiteve ‘na mano ‘mpietto e sentite ‘o core ca ve va pe ll’aria.
5) “Prostrazione, delirio…” veniteme a truvà quanno ‘o Nap’l’ perde… se, per eccesso di educazione, vi ricevo lo capirete al primo sguardo!
Insomma: quando gioca il Napoli, io nun capisco niente.