Noi ci allegrammo e tosto tornò in pianto
Si lo so avevo detto: ”Mai!”
Avevo detto mai opere in streaming per rispetto agli artisti che in questo periodo soffrono la chiusura dei teatri e per una “antica” concezione del teatro d’opera.
Stavolta l’occasione era imperdibile perché la mia amata musica si mischiava magicamente con la passione adolescenziale verso il Sommo poeta.
Durante gli anni del liceo immagazzinavo a memoria versi e versi del poeta fiorentino per poi, sciorinarli con commenti e puntualizzazioni nelle interrogazioni malgrado la Commedia divina avesse spazzato dalla storia quella scuola poetica siciliana, vanto di un volgare passato in secondo piano .
No. Non voglio divagare o darmi giustificazioni perché ieri sera ero lì davanti la TV che guardavo dal Teatro Municipale di Piacenza la recita dell’atto unico del trittico pucciniano “Gianni Schicchi.”
Cominciano dalla lirica le commemorazioni per l’anniversario della morte di Dante Alighieri mai come oggi, dopo settecento anni, attuale nel dipingere l’uomo con i suoi limiti e bramosie e la situazione politica italiana: “Ahi serva Italia di dolore ostello…nave sanza nocchiere in gran tempesta”.
Dovevo raccontare le mie emozioni in musica dal mio palco all’opera e mi ritrovo a scavare nella memoria riesumando versi? Sembra una contraddizione e invece sono solo le mie emozioni contrastanti.
Così vincendo i pregiudizi sul fatto che l’opera lirica è uno spettacolo che si gusta “al vivo” condizionata dal piacere e affetto di voler “seguire” la performance di Valeria Tornatore nel ruolo di Zita, mi sono sintonizzata sulla piattaforma Opera streaming
La visione è gratuita . L’opera lirica è pop e con i social lo diventa sicuramente di più ma non condivido la scelta della gratuità perché rinforza la convinzione che la cultura è puro divertĕre nel senso di ‘volgere altrove’ l’attenzione delle Istituzioni.
Cristina Ferrari al Teatro Municipale di Piacenza ha regalato al pubblico uno splendido spettacolo dove sono stati messi insieme in modo armonioso musica e letteratura.
Renato Bonajuto affiancato dal giovane scenografo Danilo Coppola hanno trasformato l’azione nel ‘900 sottolineando che la bramosia del denaro insieme all’invidia sono due costanti dell’animo umano e che Dante è sempre attuale.
Bravissimi tutti dal da Valeria Tornatore (Zita), Andrea Galli (Gherardo), Renata Campanella (Nella), Graziano Dallavalle (Betto di Signa), Mattia Denti (Simone), Juliusz Loranzi (Marco), Stefania Ferrari (La Ciesca), Valentino Salvini (Maestro Spinelloccio), Simone Tansini (Notaio), Francesco Cascione (Pinellino), Lorenzo Sivelli (Guccio) e la piccola Elettra Secondi (Gherardino).
Con una nota particolare per la coppia di innamorati Lauretta e Ranuccio interpretati dal soprano Giuliana Gianfaldoni e dal tenore sassarese Matteo Desole.
Ovviamente un discorso a parte mi concedo per Roberto De Candia. Non è un mistero la mia predilezione per il timbro dei baritoni; ne ho sposato uno e da quasi trent’anni il repertorio baritonale è il mio preferito e moltissimi cantanti posso elencarli fra i miei amici.
Ieri sera a Piacenza Roberto De Candia ha disegnato un perfetto Gianni Schicchi sia sul versante scenico che vocale.
Un’interpretazione misurata mai grottesca che assecondava perfettamente la musica pucciniana.
Nell’ascoltare i suoi “accenti” e gesti scenici in alcuni tratti emergeva Falstaff.
Sia pure nelle sostanziali differenze perché il personaggio verdiano è un nostalgico mentre lo Schicchi di Dante-Puccini è astuto. Entrambi disincantati e consapevoli che “tutto il mondo è burla” cercando l’attenuante del divertimento . Di nuovo il divertĕre qui nell’accezione più alta.
Spettacolo godibilissimo e con la direzione d’orchestra di Massimiliano Stefanelli che ha esaltato la partitura, sia pur difficile sul piano vocale, in maniera spumeggiante.
Praticamente una recita perfetta su tutti i versanti. O meglio quasi tutti i versanti perché nessun applauso ha sottolineato l’aria di Lauretta o l’acuto finale di “Firenze è come un albero fiorito”.
Il rito dei saluti verso una platea vuota con lo sguardo spento dei cantanti che accennavano piccolissimi gesti di sgomento con le mani alzando le spalle quasi in segno di rassegnazione mi hanno catapultato bruscamente nella realtà.
Noi ci allegrammo e tosto tornò in pianto (Inferno, Canto XXVI, 136-142, Ulisse)