Prosciutto marcio
L’affitto è sui 200 euro al mese. Hai una stanza per dormire tutta tua, con balcone. In casa ci abitano già altri due. Poi li conoscerai. Va via, adesso ho da fare.
Presi il borsone e mi avviai su per le scale. L’immobile era vecchio e dentro appariva come una topaia, ma quello potevo permettermi. Infilai la chiave e aprii la porta. La puzza di fumo di sigaretta era pungente. Per prima cosa andai a spalancare il balcone.
C’è nessuno? Non udii risposta.
Sapevo che la mia camera era la prima sulla sinistra superata la cucina. Posai la mia roba e tornai a chiedere se ci fosse qualcuno in casa.
Finalmente da una delle stanze di fronte la mia uscì un uomo sulla quarantina. Capelli unti e lunghi, voce impastata di tabacco, occhi giallastri.
Sei mica quello nuovo? disse con accento bolognese.
Sal, piacere. Mi disse di chiamarsi Christian.
Ma dove cazzo sono finito? dissi tra me e me
Vuoi mica qualcosa da bere?
Risposi di volere una birra.
Aprì il frigo, la stappò e me la porse. Ne prese una anche per sé.
Puzzava d’alcol e di tabacco. Mi disse che in serata sarebbe arrivato l’altro coinquilino.
È un tipo un po’ strano, sai?
Detto da lui mi preoccupava, ma comunque andammo avanti a discutere per un’oretta per conoscerci meglio. Poi, dopo essersi alzato dalla sedia, aprì uno sportello della cucina e prese una busta di Tavernello. Senza dire nulla andò a rinchiudersi in camera sua. Intanto si era già scolato otto birre e altre cinque le avevo bevute io.
Tornai in camera e finii di riporre tutto nell’armadio e nei comodini. Presi l’accappatoio e il bagnoschiuma e andai in bagno a fare una doccia. Era piccolo e non c’era molto spazio. La finestra era socchiusa, ma potevo vedere di fronte un appartamento da dove veniva fuori della musica classica.
Iniziò a scorrere l’acqua, mi insaponai e mi sciacquai. Richiusi il rubinetto. Tornai nella mia camera e mi misi sul letto. Tolsi l’accappatoio. Alzai lo sguardo e dal balcone di fronte, fermo dalla parte interna c’era un vecchio panciuto e calvo che mi fissava e con la mano destra si segava. Corsi a tirare le tende.
Ma dove cazzo sono finito? dissi tra me e me.
Alle sei decisi di fare della spesa per cucinarmi qualcosa e mettere via qualche provvista per i giorni a seguire. Quando tornai trovai in cucina due ragazzi che parlottavano.
Ciao, piacere, sono Enrico e abito qui. Lui è Giacomo ed è un mio amico disse uno di loro porgendomi la mano.
Mi chiamo Sal risposi a entrambi.
Si parlava del più e del meno quando alle otto Enrico si mise ai fornelli. Io riponevo negli scompartimenti del frigo le cose acquistate. Gli diedi delle uova e cucinò una carbonara.
Ma Christian non cena con noi? chiesi.
No no, lui cena sempre per fatti suoi. Ammesso che se ne ricordi. È un tipo un po’ strano, sai disse Enrico.
Ognuno dava dello strano all’altro. Non sapevo cosa aspettarmi ancora.
Ero stanco e non appena finito di mangiare mi chiusi in camera per andarmi a sdraiare sul letto. Enrico aveva la stanza attigua alla mia. Non avevo sentito aprire il portone e uscire Giacomo. Provavo a chiudere gli occhi ogni tanto andando in dormiveglia. Intorno alle 23.30 sentii mugolii provenire dalla stanza accanto.
Dopo dieci minuti avevo già capito perché Christian mi aveva detto che era un tipo un po’ strano. Forse era un modo tutto suo per dirmi che, insomma, non gli piaceva la figa. Non che per me fosse un problema. Insomma ognuno il proprio cazzo lo va a infilare dove meglio crede.
La mattina seguente mi ero alzato per primo, e dopo aver aperto il frigo, avevo notato che le cose che avevo sistemato la sera precedente non erano nell’esatto ordine in cui le avevo lasciate. Ma poteva anche darsi che i ragazzi cercando qualcosa le avessero spostate.
Christian lo vedevo raramente. Ogni tanto arrivava con cartoni di vino della peggior marca e dopo un fugace saluto andava a rinchiudersi nella sua tana. Enrico passava i giorni fuori e tornava solo per cena sempre con un amico diverso. Ogni sera mi sorbivo le sue scopate a pochi centimetri da me.
Non capivo però chi dei due arraffasse ogni volta qualcosa dalla mia spesa e la facesse scomparire.
Avevo chiesto ad entrambi. Enrico sorrise e disse di non saperne nulla, Christian disse appena appena Non so mica.
Non sapeva dire altro che Non so mica sempre Non so mica. Qualsiasi cosa gli chiedessi, quell’ubriacone diceva solo Non so mica.
Intanto però avevo fugato i dubbi sul fatto che non fosse solo l’effetto della mia immaginazione. Un giorno non trovavo i wurstel, un altro del prosciutto crudo, un altro della provoletta.
Mi venne in mente un’idea per trovare l’autore dei furti e incastrarlo una volta per tutte. Feci la spesa come sempre e stavolta mi feci dividere il prosciutto in due carte. Uno lo misi in frigo e l’altro lo conservai in balcone da me, chiuso in un involucro. Attesi qualche giorno finché si avariasse ben bene.
Una sera, subito dopo cena, quando Christian era già straubriaco e non riusciva a uscire dalla stanza ed Enrico si stava trombando uno dei suoi amanti, decisi di alzarmi di soppiatto e andare in cucina a preparare un panino con quella massa marcia di suino a fette. Lo misi in bella vista vicino al frigo e per togliere il cattivo odore lo farcii con salse e peperoncino.
Scostai le coperte e mi misi a dormire beato col pensiero che il giorno dopo qualcuno avrebbe pagato per le proprie malefatte.
Alle otto puntuale come sempre mi svegliai. Pioveva. Non sentivo rumore. La cucina era vuota ma il panino non c’era più. Solo i tovaglioli che avevo usato per avvolgerlo erano ancora lì. Uno sul tavolo e uno accanto al frigo. Le porte delle camere dei ragazzi erano chiuse. Mi avviai verso il bagno ma la porta era chiusa a chiave.
Chi c’è? dissi.
Rispose Christian con voce sofferente.
Sal, cosa casso sciai messo in quel panino, lurido figlio di una puttana.
Risi silenziosamente e avviandomi verso la cucina dissi
Non so mica.
Foto uomo con birra e fumo di 4924546 da Pixabay
Foto uova di Steve Buissinne da Pixabay