Non ce n’è Coviddi!
Non ce n’è Coviddi!
Era estate. La sciagurata frase, pronunciata da una scriteriata donna in una assolata spiaggia siciliana, fece il giro del web e divenne un tormentone. E, insieme, la negazione di migliaia di vittime del Covid e dell’esistenza stessa del virus, l’affermazione di un insulso principio di libertà di opinione che a distanza di mesi, di fronte alla paura di oggi, appare quello che è sempre stato, fin dall’esordio: una grande stronzata.
Chissà cosa prova ora quella donna, ammesso possa provare qualcosa, nel sentire che di Coviddi invece ormai ce n’è dappertutto e che dietro ogni angolo di strada puoi incontrare un positivo, o uno che la malattia l’ha vissuta sulla sua pelle e per sua fortuna la può raccontare.
Vorrei prenotare la visita che ho dovuto sospendere a causa del Covid. Sì, è stato un momento difficile. Di più. Eravamo malati in cinque, due famiglie, e sintomatici tutti. La nonna abbiamo dovuto ricoverarla in ospedale in serie condizioni. Ora è nell’ospedale di comunità. Io sono ancora positiva al tampone, ma mi è stato detto che al ventunesimo giorno posso già tornare al lavoro. Se lo dicono loro… Speriamo di non essere davvero più contagiosi. Se sto bene, assicurano, è tutto ok. Diciamo che ora sto benino, ma non auguro nessuno di passare tre settimane come le abbiamo passate noi.
Hai sentito? La nostra collega M. è ricoverata con il covid. Proprio lei, una ragazzona grande e forte, cui nemmeno le brutte vicissitudini della vita hanno mai tolto il coraggio, la spontaneità e il sorriso che la rendevano così benvoluta ai pazienti. È in rianimazione con la polmonite doppia. Ha il casco per l’ossigeno, senza non riesce a respirare, e anche con il flusso molto concentrato fa fatica. Suo zio era ricoverato insieme a lei e non ce l’ha fatta. Speriamo che almeno lei ne esca presto. Dice che solo dopo diversi giorni ha finalmente sentito arrivare l’aria nei polmoni. Prima le pareva di affogare.
Prima le pareva di affogare.
Devo firmare il modulo di autocertificazione? Qui mi si chiede di dichiarare se ho eseguito un tampone… guardi, ne faccio uno al giorno. Lavoro in casa di riposo, assisto gli anziani, e non fanno entrare nemmeno noi operatori se non lo facciamo. Dobbiamo proteggere i nonni, è giusto così, e pazienza per il fastidio al naso. Non possiamo rischiare.
Vi prego, tutelatevi. Io ho preso il Covid da mio marito che a sua volta è rimasto contagiato prestando soccorso a una persona malata. Fa parte di un’associazione di volontari soccorritori. Sì, hanno le protezioni, ma non è bastato. Questo virus è un mostro: oltre a fare entrare il fuoco della febbre nel tuo corpo, inizia dalla testa, divora il cervello con dolori lancinanti. Poi scende ai polmoni e toglie il respiro, ti lascia una insaziabile fame d’aria. E poi arriva all’intestino, te lo svuota con crampi che ti sembra di partorire. Si nutre delle tue forze e ti lascia stremato, bastonato, su un letto. A questo punto spero solo, visto il giro che ha fatto, che esca dai piedi e sparisca per sempre, che non ce la faccio più.
Scusate, scusate, annullate la visita che avevo in programma nel pomeriggio di oggi, non posso venire. Lavoro in casa di riposo, ma abbiamo un’emergenza, e sono al momento l’unica in servizio che può affrontarla perché negativa al tampone. A me penserò quando sarà possibile, in questo momento devo restare qui, dove c’è bisogno di me.
Senta, me lo garantisce che non prendo niente di brutto a venire in ospedale? No perché sa, io ho una paura… e piuttosto rimando la visita. Anzi, me la sposti pure in primavera, e speriamo che sia finito tutto per allora. Non è che sto troppo bene, sa, ma è meglio così che peggio.
Sono due settimane che non mi alzo dal letto. I dolori sono ovunque, mi sento come se un treno mi fosse passato addosso. La saturazione dell’ossigeno scende, ma mi dicono che va ancora abbastanza bene. Sarà. Ma a me manca il fiato e la tosse mi stravolge. Ho chiamato il 118, mi hanno mandato la guardia medica, anzi, non è neanche venuto, mi ha visitato per telefono. Mi ha prescritto le gocce per la tosse… ma qua va sempre peggio, non ho la forza neanche di alzarmi e respirare è complicato. Al quindicesimo giorno è arrivato il dottore che mi ha prescritto altri farmaci e finalmente vedo la luce in fondo al tunnel. Ma ancora lontana.
mi sento come se un treno mi fosse passato addosso.
Cosa strana, sono positivo e asintomatico, mia moglie e mio figlio sono negativi, ma dobbiamo stare in quarantena tutti. Grazie a Dio stiamo bene, ma tre settimane da reclusi in casa non passano mai. Così già a metà novembre abbiamo fatto l’albero di Natale. Per passare il tempo. E per darci una speranza che questo brutto periodo passi in fretta.
Ma se lo ricorda quella che diceva che non ce n’è Coviddi? Beh, quella lì non ci ha capito proprio niente, glielo dico io.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay