Cara scuola, ti scrivo
Le grandi crisi hanno i loro vantaggi. Fanno emergere situazioni che probabilmente non avremmo notato in condizioni normali, e ci fanno però anche sostenere tesi che non avremmo immaginato. E fanno anche un po’ di pulizia nella selva di luoghi comuni che accompagnano la nostra esistenza.
resta il piacere di poterli un po’ ingannare, di suggerire una traduzione, di fare la corte alla vicina in orario di lezione: è la vita della scuola. Ma senza non si può stare.
Gli studenti amano la scuola. E’ il loro vero primo territorio di indipendenza e di relazioni stabile. Devi capire la sapienza, il carattere, lo spirito dei professori. Devi capire compagni e compagne senza aiuto, da solo. Non è come in casa con una frequentazione vecchia di anni. Qui cambiano i professori e gli alunni, cambiano le materie. Qui ti poni le prime domande sul futuro, già alle elementari. Qui ti fortifichi, contro la sfortuna, contro le ingiustizie, contro i soprusi; qui scopri la gentilezza e la bontà gratuite. E’ un mondo straordinario. Forse i ragazzi non lo sanno rappresentare in modo netto questo sentimento, ma è quello che sentono. Ecco perché pretendono di uccidere la Dad e tornare a sedere sui banchi, con o senza rotelle. Ecco perché sanno essere zelanti con le misure di sicurezza (molto più degli adulti). La vicinanza umana val bene una mascherina e un centinaio di centimetri di distanza.
La gioventù non è poi così debole: ha vitalità, speranze, energie, sogni e può reggere molto. Anche le ansie degli adulti.
E facciamo che quando potremo riusare la parola normalità, la scuola ritorni a essere quel luogo dialettico dove professori e alunni imparano ognuno qualcosa dall’altro. E, per favore: i genitori interferiscano il meno possibile, specie nella didattica. Piccole donne e piccoli uomini proveranno a trovare le loro strade. Dobbiamo solo aiutarli in questa scelta autonoma. Con o senza pandemie.