Dalla nebbia
Irene continuava a sentire il fischiettio martellante in testa.
Organizzava senza molta attenzione le farine nel reparto del supermercato dove lavorava; era infastidita dall’odore della pescheria accanto e da Luigi che continuava a fissarla da dietro il bancone. Il fischiettio non era nuovo ma in quella giornata iniziava a farla sentire confusa.
Lei nella bruma ormai ci viveva da molto tempo, la confusione era diventata la sua compagna di vita. Negli ultimi giorni però la sensazione di stare guidando in una strada piena di nebbia fitta era aumentata pericolosamente.
La sera prima aveva esagerato e non era una novità; avevano fatto la solita bevuta infinita a cena con il solito gruppo per poi finire a imbrattare, saltare e spaccare giù al parco giochi, mentre il suo amico Marco continuava a dire che se non si spaccava tutto a vent’anni non si era neanche degni di quell’età. E ridevano tanto.
Non sentivano nemmeno il gelo di fine ottobre nelle mani.
Anche lei aveva avuto altalene vandalizzate e spazzatura e siringhe nei giardinetti della sua infanzia.
Ora in frantumi stava andando il suo fragile mondo.
E sentiva una rabbia feroce montarle in testa.
Profonda e nera.
Sua madre era lontana da sempre, ora che era tornata al suo paese natale ancora di più. Parlavano poco e niente al telefono in un misto tra italiano e arabo e questo la frustrava perchè da quando era nata, non era mai riuscita a sincronizzarsi su una lingua sola.
Con suo padre non parlava.
Viveva in un piccolo appartamento alla periferia della città insieme al fratello minore, dove si prendevano cura di un cane meticcio col quale lei non riusciva a dosare mai la giusta quantità d’amore, così che il povero animale aveva sviluppato manie aggressive o fortissimi tremori quando a lei partiva il senso della realtà.
E capitava spesso. Si perdeva nella nebbia Irene.
C’era in quello stato un rumore assordante. La necessità di cancellare il mondo. Se stessa e il mondo.
Faceva partire Hysteria dei Muse, una delle sue canzoni preferite; alzava completamente il volume. Spariva la vicina di casa che suonava per chiederle di abbassare, spariva il controllo, spariva suo fratello che tentava di contenere le urla e il lancio di oggetti, spariva la sua tristezza. Puliva, spaccava, buttava.
Dopo la tempesta, il silenzio.
Far uscire la rabbia era l’unica cosa che le dava silenzio e calma. Non poteva lasciare che quel mostro le mangiasse lo stomaco.
Rompere, distruggere, urlare, farsi del male, erano i rituali per farlo scomparire per un po’.
Irene rimettiti al lavoro per favore, a cosa pensi sempre?
Veloce che devi andare in cassa.
Veloce, veloce, veloce.
Irene sei una buona a nulla.
Ciao bella lo sai che hai un bel culo?
Marta dice che sei fuori ed è meglio non frequentarti.
Non sono pronto per stare con te.
Ma sei italiana? Non sembri italiana.
Più del lavoro di pulizie non possiamo darle.
Il suo conto è in rosso cosa intende fare?
Irene è proprio una ragazza scarsa, più di così non possiamo aiutarla.
Eh, ma lei se le va a cercare certe persone e certe situazioni.
Io ti ho persa, figlia mia.
Così non ti sposerai mai.
Silenzio, silenzio, silenzio…
Il mondo poi rinasce dalle ceneri, così si è fatta tatuare.
Dopo l’ultima sera di follia, trascinata da due infermieri e due poliziotti in mezzo alla strada.
Con il corpo pieno di graffi causati da tutti i vetri rotti.
Senza più una casa.
Irene nel buio più buio, capisce.
Perchè a vent’anni si può anche ricostruire.
Si cambia strada, paese, amicizie, ci si salva da soli, talvolta. Se è necessario.
Si sceglie una lingua e si dimentica un’altra, perchè le radici non sono un dovere di sangue ma un diritto di appartenenza.
Fuggendo da tutto il resto, ma non da noi stessi; saremo bravi a perdonarci.
Irene, dietro alla nebbia fitta c’è il cielo blu.
Immagini
Copertina: Elti Meshau – Pexels
Donna: Kat Jayne – Pexels