La guardia dei cuori di cristallo
Negozio di souvenir in vetro, interno, giorno.
Personale indaffarato a gestire clientela e oggetti delicati, un esserino dai vestiti un po’ gipsy e coloratissimi sistema gli scaffali e si perde nei ricordi. Oggi sono quattro anni che vivo qui. E’ quasi un compleanno, cavolo. Il primo l’ho vissuto da esule occupante. Mi guardavano male per questo accento della Magna Grecia e la tendenza a urlare quando parlo…sorride. Malgrado i suoi studi di architettura, aveva ottenuto per miracolo un lavoro lì. A Piazza S. Marco, il centro di Venezia. Ai suoi occhi, il centro del mondo. Vede turisti di ogni genere e tasca, ogni giorno. Sa già cosa aspettarsi…orientali e americani pagano senza fiatare; i russi si fanno aiutare nella scelta degli oggetti, gli piacciono appariscenti. Più sono cari, più sono belli, secondo loro. Si ferma a osservare una coppia dall’aria ipercritica torturare di domande una collega. Francesi, pensa – sicuramente…sembra che ti facciano un favore, loro vengono dal regno del buongusto. Sempre meglio di spagnoli e italiani, quelli ti sfiniscono per contrattare sul prezzo. Hanno ragione, però…Tuffa le mani nelle scatole appena scaricate in negozio con una furia infantile. E’ sempre festa, quando arrivano gli oggetti nuovi.
Con la massima delicatezza libera i tesori dagli imballaggi e inizia a posizionare sullo scaffale più in alto una fila di cuori rossi-scultura fissati su un cubo di luce purissima. Dal più piccolo al più grande, ognuno col suo prezzo “consigliato”. Identici e perfetti. Lavora in religioso silenzio, si arrende come sempre alla bellezza.
“Buongiorno, potrei sapere quanto costa quella fila di cuori e se ci sono altri colori? E si potrebbe organizzare una spedizione?” Un fiume di parole nel suo stesso accento improbabile, “e” aperte quando bisognerebbe chiuderle, e il contrario. Un italiano “anarchico”. La guardia dei cuori di cristallo inizia a pensare confusamente a voce alta: ” Quella voce…! Non è possibile, mi sto sbagliando, per forza!” Ma non trova il coraggio di voltarsi. Rimane di spalle e risponde con tono incerto: “25 il più piccolo, poi 40, 55, 75 e 90”.
“Le dispiace girarsi, non le faccio niente, non sono il fantasma dell’opera!” A quella battuta sarcastica decide di voltarsi. La vede bene, ora, la sua faccia. Come in uno specchio. Gli stessi occhi allungati, il ciuffo di capelli senza forma, le guance tonde, le fossette. Il naso dritto verso la stella del nord. Poco maggiore l’altezza ma una sua copia in maglioncino a strisce. Riprendono i pensieri ad alta voce: “Sei peggio del fantasma dell’opera…sei un’allucinazione, il primo passo verso la pazzia!” Sente che sta tremando mentre pronuncia il suo nome. A questo punto i suoni escono involontari dalla bocca: “Non è possibile, tu sei, eri…”
“All’altro mondo!” Ride lui sguaiatamente. Clienti e commessi, lì vicino, hanno un sussulto di fastidio. “Quello che credevano tutti. Che speravano, anzi. Ma mi conosci, sai che mi piace fare di testa mia. Non ti è servito scappare a Venezia per soffrire un po’ di meno…”
“Mi è servito eccome, stavo impazzendo…! Che cazzo ti è venuto in mente, gettare tutti nel dolore fregandotene cosììì !” Sta urlando, ora, aprendo un vuoto intorno a loro.
“Tutti chi? Mamma e papà sono morti da un pezzo, e gli altri possono sparire. Stavo tanto bene, sai, senza il mio nome addosso e quella storia miserabile”..
L’aspirante folle si siede per terra, sente le gambe non reggere più. Inizia a piangere. Di rabbia e soddisfazione insieme. Il “fantasma” si siede accanto, appoggia la testa sulla sua spalla. Come faceva quando erano bambini. Riparte il monologo dei pensieri: Appoggiati, si. la parte forte ero io, del resto. Che sono in frantumi da anni e passo i giorni a proteggere i vetri. Ridicolo”. Sente che intreccia le dita alle sue, risponde ai suoi pensieri. Vanno oltre le parole, loro. Come da bambini. “Ma c’eri tu, non ti potevo fare questo. Tu mi conosci”…
“Sei una merda”, sorride.