Ippocrate, rispondi
L’acqua della notte è ancora sospesa tra un soffitto di nuvole sparse e zolle scure, rivoltate nei campi attorno alla cascina.
Il dott. Iorio è già al lavoro da un paio d’ore.
La finestra dello studio è aperta sul cortile e raccoglie l’umidità che risale dal basso per riversarsi sul bordo del davanzale.
Il dottore allunga una carezza al vecchio cane, lì accucciato ai suoi piedi.
La luce dell’alba accende timidamente il bianco della parete alle sue spalle, scivola via leggera sui titoli accademici, le specializzazioni, tutti gli attestati di benemerenza, sembra fermarsi solo un attimo in più sul sacro giuramento.
Iorio è concentrato con lo sguardo rivolto ai fogli sparsi sulla scrivania, dove la sera prima ha segnato un promemoria delle cose urgenti da fare, da dire, da pensare.
I suoi occhi seguono le tracce della stilo che aggiunge qualche dettaglio a margine, muovendosi quasi come senza un vero comando volontario.
A intervalli regolari, la cima della montagna che si vede fuori dalla finestra polarizza la sua attenzione su altre tracce. Adesso, finalmente, la vetta è tutta illuminata dal sole di novembre che, dalla pianura di brume ad oriente, sta emergendo con calma autunnale.
La statua bianca di Maria del Buon Soccorso lì sulla cima, appena un tratto quasi impercettibile di bagliore, benedice la valle di sfolgoranti e delicati riflessi d’aurora.
Il dottore studia gli appunti.
Molte cose tendono a sfuggire via dalla sua memoria. Ha settant’anni tondi e una vita professionale ancora fitta di impegni.
Mentre visita, sempre più spesso negli ultimi mesi, i pazienti lo vedono fermarsi un attimo, chiudere gli occhi, poggiare la testa e i lunghi capelli bianchi allo schienale alto della poltrona, mani sulle ginocchia.
Sono minuti di sonno rubati alla costanza di un’attenzione vigile, attimi in cui il corpo decide per lui che è meglio fermarsi almeno per qualche istante.
Il dottor Iorio ha sempre ricevuto i suoi pazienti per dodici ore al giorno, senza un vero orario, a volte chiudendo le porte del suo studio anche dopo la mezzanotte.
Continua con questi ritmi anche adesso che è pensionato.
Decine di persone ogni giorno, tranne il sabato e la domenica, affollano la sua agenda di appuntamenti.
Il dottore è come la montagna lì fuori, maestoso e circondato da un alone di leggenda.
Si racconta che da giovane abbia fatto un voto alla Madonna, per impetrare una guarigione per la figlia di due anni in fin di vita. Da allora ha speso tutti i suoi giorni a visitare e curare senza sosta e risparmio di forze.
Il dottore alza di nuovo gli occhi dai fogli che sta scorrendo e li punta, nel silenzio della campagna, sui raggi del sole che stanno asciugando le ultime sottili dita di nebbia novembrina.
Pensa lentamente, mentre accarezza Ippocrate.
Ricostruisce il senso di un sogno che gli sembra di ricordare.
La mattina adesso è già distesa sulla valle e abbraccia in cerchio i margini del suo mondo.
Stanotte il dottore ha dormito tre ore in tutto.
Torna sul foglio e scrive: ricordarsi di dire a mia moglie di stare tranquilla.
Subito dopo scrive qualcos’altro di molto meno importante.
Prende la tazza di caffè americano e la porta alle labbra.
Si alza un attimo, guarda la parete dietro la scrivania.
Ippocrate rispondi – sussurra.
Da un po’ di tempo, è questa la sua litania.
Ma il cane continua a far finta di niente.
Perché siamo destinati a soffrire? Perché non riusciamo a raccogliere il senso di tutto questo dolore?
Ippocrate, infine, si allontana di qualche millimetro giurando di non sapere alcunché su questa materia.
Iorio volta le spalle a quella fuga codarda e si accorge di sorridere.
Guarda di nuovo oltre i campi arati. Guarda in alto e subito scopre che il cielo è senza nuvole adesso.
Il sentiero di ponente, che giunge fino alla cima lì di fronte, è disegnato così nitidamente lì tra gli alberi di querce e castagni, che gli sembra di percorrerlo proprio adesso con le sue gambe.
Lo riconosce per abitudine. Per anni, ogni sabato, era solito raggiungere la vetta facilmente in un paio d’ore proprio attraverso quei boschi. Ma da qualche tempo, ormai, non sale più fino alla cima.
Il dottore individua il tratto bianco luminoso lassù in alto. Un riflesso intenso e fulmineo gli trapassa il cuore.
Un giorno, Ippocrate, ti porterò di nuovo su con me.