La tavola apparecchiata
La tavola è ancora apparecchiata. Un tovagliolo non pulitissimo giace a fianco di qualche buccia di mela e gusci di noci, la tovaglia è sporca del carbone che impregna le castagne non ancora mangiate. Tavola apparecchiata di novembre.
C’è una storia legata alle tavole apparecchiate di novembre, quelle tra la fine di ottobre e l’inizio dell’undicesimo mese dell’anno; è la storia e la leggenda che invita a lasciare la tavola apparecchiata con un posto in più destinato a coloro che non sono più presenti fisicamente nella nostra vita. Una leggenda che mi ha sempre affascinato perché aldilà della credenza fine a se stessa, il pensiero che chi amiamo possa essere comunque al nostro fianco è confortante e bellissimo. Mia zia mi diceva sempre che a fine ottobre si usava regalare la frutta o i dolci il bene per l’anima, il bene per le anime; anche lei preparava spesso il pane con l’uva passa tipico della Sardegna e altre prelibatezze che regalava sempre a mia madre, e non dimenticava mai di lasciare la tavola imbandita prima di andare a letto in quei giorni tra ottobre e novembre, come da tradizione.
Mi piace pensare al significato della tavola nella nostra vita; attorno alla tavola ci si ritrova nonostante la vita frenetica. In quel momento, anche se per pochi istanti ci fermiamo a condividere tempo con le persone che amiamo: raccontiamo le nostre giornate, diamo buone o cattive notizie, discutiamo e ci arrabbiamo, facciamo pace e ricordiamo mentre mangiamo quanto sia prezioso avere qualcuno accanto anche solo per trascorrere un po’ di tempo insieme. La tavola testimonia il tempo che passa, da una tavola nuova e senza segni del tempo a una un po’ usurata che ricorda quel giorno in cui per sbaglio hai poggiato una pentola ancora bollente e hai lasciato quel segno circolare, o di quando bambino giocavi e scoprivi che quel pennarello era indelebile per davvero, e quella x è ancora sulla gamba del tavolo, il tuo posto preferito quando giocavi a nascondino. O di quando ancora, con la tavola ancora apparecchiata aspettavi la mezzanotte la vigilia di Natale e quella di Capodanno e seduto ti sbottonavi il bottone dei jeans perché la pancia era troppo piena ma anche il cuore, un cuore pieno di famiglia. Famiglia genetica e famiglia scelta quando ad un tavolo con gli amici hai brindato e riso e magari ti sei anche innamorato, ai tavoli del bar del tuo paesino intagliati dalle scritte di adolescenti immaturi e quei tavoli di città, dove per qualche anno hai vissuto e ti sei sentito ugualmente a casa.
Tutta la vita dentro una tavola apparecchiata e ingarbugliata perché vissuta. Mi piace immaginarla così come luogo in cui tutto fluisce e unisce e dove ci sarà sempre un posto insostituibile anche per chi vive soltanto nel nostro cuore ma che ci vivrà per sempre perchè è il ricordo che lo manterrà vivo.
Vivo nei gesti e nei ricordi di ogni giorno, in quella festa che ce lo ricorda, in quel piatto preferito che cucinava sempre, in quel colore che era il suo preferito, in quella frase che diceva spesso. In quella sedia della nostra tavola di vita apparecchiata di chi vive dentro di noi ogni giorno e ogni mese dell’anno.
Crediti immagini:
Foto tavola apparecchiata: Juliette F sito Unsplash
Foto tavola con pietanze: Stefan Vladimirov Unsplash