Cesaria e l’ultimo ballo
È stato bello ballare con te quella volta.
Rose aveva pronunciato quella frase chiaramente, a voce alta.
Era in piedi, affacciata alla finestra di casa sua in piazza Marina con una tazza di tè fumante in mano.
Guardava verso i giardini e gli alberi secolari contemplando distrattamente il classico caos palermitano difficile da capire per una ragazza inglese come lei.
I posteggiatori abusivi, la munnizza, le macchine messe a caso, posteggiate in ogni dove.
Il vociare.
Gli odori.
La luce.
Tutto sembrava rispondere a un ordine preciso anche se si fa fatica a capirlo; c’era un certo disegno coerente, di bellezza esplosiva.
Non aveva lasciato Palermo, nonostante ormai fosse passato moltissimo tempo da quell’ultimo ballo.
Insegnava inglese in una scuola in centro.
Si allontanò dalla finestra per versare altro tè, mentre Cesaria Evora andava avanti nel giradischi cantando Maria Elena.
Rose era diventata a Palermo un’inguaribile nostalgica.
Aveva provato a lasciare la Sicilia, ma non ci era riuscita.
Dopo qualche giorno a Londra era tornata rimproverando a se stessa il sollievo che le avevano dato la visione delle palme e del mare, mentre l’aereo atterrava.
Quindi, pensava Rose, quell’ultimo ballo non è la sola causa del ritorno.
Ma centra anche lui.
Perché i suoi non capivano la necessità di tornare in quella terra infernale e rumorosa.
E gli amici continuavano a dirle che per dimenticare quell’amore andato storto, la migliore medicina era la lontananza.
Aveva pure rinunciato ad un lavoro migliore.
Ma loro non potevano capire.
Le mancava l’atrio dell’edificio di casa sua.
Un portone enorme si apriva su uno spazio bianco e in penombra.
Nel piano terra viveva Giusi che si era creata uno spazietto e aveva aperto una bottega dove vendeva ceramiche, erano diventate molto amiche in poco tempo.
Ma a Palermo questa non è una novità.
La signora Maria al primo piano aveva adornato tutto il balcone che dava verso il patio centrale con piante di rosmarino, menta, salvia, ciclamini e pomelie. Nei giorni di caldo afoso c’era un aroma fortissimo che non lasciava quasi respirare.
I gatti erano ormai di tutti quanti e stavano sempre un po’ in giro, così che la portinaia Francesca li seguiva con il Lysoform, e puliva sempre di qua e di là, lamentandosi.
Anche se era lei che dava da mangiare alla colonia e aveva dato un nome ad ogni micio.
Le vetrate del marchese, proprietario di tutto il palazzo, erano vetrate liberty di grande raffinatezza.
Viveva al piano nobile.
E se prima era stata una straniera, ora si sente parte del tutto perché le radici si allungano verso terra, pensava lei, alimentate dalle nostre emozioni più profonde
E anche se tutto parlava di una storica opulenza, l’appartamento dalle mille configurazioni in cartongesso era stato ridotto internamente a un labirinto di libri e piante che la badante tentava in tutti i modi di contenere, così come l’odore del sigaro.
La sua finestra abbracciava la piazza e i ficus secolari, dei quali i palermitani amano raccontare le storie di streghe bruciate e appese in epoca medievale.
Quindi, pensava Rose, quell’ultimo ballo non è la sola causa del ritorno.
Ma centra anche lui.
Guardando di nuovo in piazza si chiedeva, come si fa a rinunciare a tutto questo? Anche se tra le strade della città incontra ancora il suo vecchio amore che abbassa lo sguardo quando la vede e fa finta di non conoscerla.
Lei tiene la faccia alta attendendo un riconoscimento a uno status storico che non arriva mai.
Perché c’è stata tutta la bellezza del mondo tra loro e anche tanta sofferenza alla fine, ma il dolore più grande glielo dà l’indifferenza.
Lontano sente un fischio ed è Marika, la sua parrucchiera, che passa di lì per andare in salone e la saluta.
Rose sorride e fa cenno con la mano.
Palermo è una città che si adatta benissimo al suo abbandono romantico.
Ai sentimenti intensi.
Al pianto e alla rabbia, alla richiesta di spiegazioni, alla dimenticanza nostalgica di quello che fu e anche all’indifferenza.
L’insieme del suo vissuto l’ha consacrata alla città.
E se prima era stata una straniera, ora si sente parte del tutto perché le radici si allungano verso terra, pensava lei, alimentate dalle emozioni più profonde.
Purtroppo, soprattutto dai dolori.
Come quando una persona che arriva da lontano in una barca di fortuna abbandonando tutto, partorisce in un ospedale popolare a Palermo.
Come quando qualcuno che si trova senza soldi e senza famiglia e viene accolto e aiutato da una rete di amici a sentirsi come a casa in una città straniera.
Come la signora Pia che raccontava a Rose nel bar dell’Aperitivo di quanto avrebbe voluto tornare in Brasile, a casa, prima di morire, ma che nella realtà non era mai riuscita ad andarsene; trattenuta dalla stessa morsa allo stomaco di nostalgia, dal suo cane gigante Patito e dalle capirinhe che le preparava ogni pomeriggio il barman Marco.
Cesaria canta sempre.
Il vociare è diventato più forte.
Salgono gli odori del fritto dell’angolo e della cucina del ragazzo indiano che abita al piano di sotto.
Con certe città non ci sono ultimi balli.
Crediti Immagini:
Foto Palermo: Maria Clara Valenti
Foto copertina: Trung Nguyen da Pexels