‘Na tazzulell ‘e cafè
Cambiamenti.
Leggevo ultimamente che la forza propulsiva della vita, l’equilibrio che ci permette di esistere è il cambiamento. Io ho provato un po’ di tutto: gli sono corsa incontro, l’ho ignorato, l’ho sbeffeggiato, l’ho desiderato. Finché non succedeva per davvero e allora tutti i meccanismi di sopravvivenza si accendevano improvvisamente.
Ho cambiato casa diverse volte, ho cambiato paesaggio, ho cambiato i metri quadrati che mi contenevano, le mattonelle, gli odori di cucine che non mi appartenevano. Ho cambiato piano in ufficio, computer, datore di lavoro, colleghi. Ho cambiato pelle lasciando a terra l’involucro che non mi stava più e indossandone un altro ancora inamidato, non provato dall’usura e dai numerosi movimenti. Sono sopravvissuta al cambiamento grazie a delle costanti, dei rituali, piccole gemme tascabili che non reclamano troppo spazio.
“Ci prendiamo un caffè?” è uno di questi diamanti grezzi. Mi piaceva ordinarlo quando iniziavo il turno delle sei del mattino e potevo prendere una pausa alle nove, quando gli altri colleghi entravano. Restavo in fila assonnata e assorta, tutta presa dal rumore dei cucchiaini nella porcellana delle tazzine. C’è una vita segreta alle sei del mattino. È una vita doppia, più intensa. Si arriva alle nove con un vissuto diverso, guardando chi comincia la propria giornata con tenerezza e un po’ d’invidia.
Mi piaceva prendere il caffè in un chioschetto dopo pranzo, guardando l’edificio imponente che mi avrebbe reclamata dopo la pausa pranzo. Quel caffè ci vedeva tutti con lo stesso destino, intenti a calcolare quanto tempo ci restasse ancora cercando di indovinare quanti miracoli potesse fare quell’oro liquido in tazzina.
Mi piaceva prendere il caffè napoletano alla stazione o fuori ai bar dell’università. Erano caffè diversi, che non sono mai più tornati. C’era sempre un carico di aspettative in quella miscela: si sperava che l’esame andasse bene, che gli occhi restassero aperti per qualche ora in più di studio, che quel momento restasse sempre così, incorruttibile dal tempo e dal peso dei nostri stessi sogni.
Mi è anche piaciuto il caffè lungo che si beve in Germania, quel rituale diverso che richiede più tempo, che si rifiuta di farsi bere tutto d’un fiato.
Ho bevuto caffè fatti in casa, quelli che impregnano le pareti e occupano gli spazi che avevo ceduto alla malinconia. Sono i caffè d’emergenza, quelli delle confidenze, quelli che dicono “non ti posso dare casa tua, ma se ti fidi del tuo naso forse non sei così lontana”.
L’ho chiamato na tazzulell e cafè, un café seduta ai tavolini di Parigi, uma bica in qualsiasi bar portoghese, ein Kaffee mentre guardavo il Reno in autunno. Tutte piccole pietre preziose sopravvissute al cambiamento.
Mi conforta sapere che verranno altre tazze di caffè, tutte diverse e tutte senza ritorno.