Manon Lescaut al Teatro Massimo di Palermo
Salire la monumentale scalinata del Teatro Massimo è sempre una grande emozione: ricordi che si mescolano al piacere di assistere ad uno spettacolo; risalirla dopo diversi mesi è stata un’emozione doppia. L’interno del teatro è stato rivoluzionato per consentire di “fare musica” in sicurezza sia per i lavoratori che per il pubblico.
La collocazione dell’orchestra in platea permette agli spettatori di poter gustare dai palchi i gesti perfetti e all’unisono degli orchestrali e le traiettorie del direttore che disegna nell’aria i colori della musica .Dal punto di vista dell’ascolto, realisticamente, c’è qualche difficoltà di acustica.
L’alto tetto era stato progettato per la platea ma giustamente è stato necessario ripensare gli spazi affinché il pubblico palermitano non fosse privato del suo teatro. Il malgoverno del passato lo ha sottratto alla citadinanza per ben ventitré anni, ma dal 1997 la lungimiranza e l’amore per la cultura hanno restituito ai cittadini l’uso del Massimo diventando negli anni simbolo e luogo di aggregazione e produzione di arte. Assistere alla rappresentazione della Manon Lescaut “sotto una nuova luce” è stata un’esperienza diversa ma altrettanto pregnante. Giacomo Puccini, scegliendo il romanzo dell’Abate Prévost, dovette commisurarsi con l’omonima e fortunata opera di Massenet. Il compositore lucchese aggiunse “passione disperata alla cipria e merletti francesi”, come lui stesso disse a Giulio Ricordi che tentò di dissuaderlo ad intraprendere la composizione del soggetto del romanzo francese.
Al libretto misero mano diversi autori, da Leoncavallo ai fidati Illica e Giacosa, e persino Ricordi, per essere completato dallo stesso Puccini. Ciò ci fa intendere quanto il compositore tenesse alla messa in scena della sua opera. Sul versante musicale è da sottolineare l’influsso wagneriano e in particolare le atmosfere crepuscolari del Tristan und Isolde adattate al gusto italiano. Il teatro d’opera per sua stessa definizione è fusione perfetta tra musica e scena. Riproporre un’opera in forma di concerto è un’impresa ardua perché le scenografie e la regia sono parti indissolubili. Riproporre un’opera pucciniana è forse impresa ancora più ardua perché in Manon Lescaut si fonda la simbiosi perfetta tra testo e musica, così come il melodramma impone e regala agli appassionati. Lo scorso 22 ottobre questo compito è stato affidato ad un cast vocale che è riuscito ad emozionare e far sognare attraverso il canto, gli accenti e l’interpretazione.
Perfetta nel ruolo del titolo il soprano sudamericano Maria José Siri, che avevo avuto il privilegio di ascoltare in Madama Butterfly tre anni fa a Macerata. Anche in questo ruolo di eroina pucciniana l’artista, sfoderando un timbro caldo e rotondo, accompagna l’ascoltatore nel modo di trine morbide e gioielli. Il cambio d’abito nella seconda parte evoca le suggestioni che portano Manon tra le lande desolate; sensazioni che solo il teatro d’opera sa dare quando i cantanti sono artisti. Pagine indimenticabili di arte, poesia ed emozioni come l’assolo di violoncello nell’intermezzo o il canto struggente del tenore Carlos Ventre nella scena “guardate come pazzo son guardate…”.
Al bel timbro baritonale di Andrea Vincenzo Bonsignore è stata affidato il ruolo di Lescaut , completa il cast Matteo Mezzaro che ascolto sempre volentieri e per il quale mi considero un portafortuna avendolo conosciuto poco più che studente. La bacchetta di Bignamini è stata energica e puntuale fermo restando la collocazione non ortodossa dell’orchestra. Il coro del Teatro è sempre all’altezza del compito con professionalità e precisione musicale.
La coinvolgente musica di Puccini come sempre purifica l’animo dello spettatore e il suo genio trasforma ogni volta una donna in eroina.