Furto 19 – La persona della tua vita
Ti trovi a un importante matrimonio e devi conquistare la persona della tua vita.
Superi elegantemente la cerimonia in chiesa senza sgualcire l’abito, senza ritrovarti con un lembo di camicia che ti esce da dietro e che per infilarla nuovamente dentro il pantalone dovresti come minimo rimanere in mutande davanti a tutti.
Superi l’aperitivo, sorridendo, senza avere foglie di lattuga incastrate fra i denti.
Superi l’antipasto e riesci a non ruttare.
Ma arriva lui, il primo primo.
Sulla carta:
“Trionfo di pasta fresca in pomodoro di Pachino speziato al basilico fresco”.
Improvvisamente, senza neanche capire come, ti sei macchiato la camicia.
La tua camicia bianca.
Chiedi al cameriere, sorridendo a denti stretti, lo smacchiatore e non ce l’hanno.
Vai in bagno, chiedi scusa agli altri commensali, sorridi.
Cerchi la carta per le mani e ci sono solo quegli inutili spara-aria (e ti viene in mente quella volta che ti eri fatto i capelli a merda e nel cesso dell’autogrill te li eri bagnati e asciugati con quel coso).
Colpo di genio: la carta igienica.
Ne bagni un pezzo e inizi a strofinare (nonostante sai perfettamente che le macchie non si strofinano).
La macchia si espande. Inizi a sudare.
Provi a mettere un po’ di sapone per le mani. La macchia cambia colore ma è sempre lì, a giudicarti.
Chiudi la giacca.
Sudi, perché ci sono 40 gradi all’ombra, e non te la levi più. Col cazzo che te la levi.
Continui a sorridere.
A un certo punto l’animatore ti chiama per fare uno di quei giochini idioti (perché chiama sempre te, porcogiuda).
Ti fai pregare, sorridi scuotendo il capo, ti senti mancare, ma poi ti devi alzare obbligatoriamente.
L’animatore ti guarda, con quegli occhi che manco IT il Pagliaccio, e che fa? Ti invita a toglierti la giacca.
Sorridi, nonostante tutto sorridi.
La levi. La macchia adesso è in allegra compagnia di aloni di sudore su ascelle, petto, schiena, panza, un lembo di camicia s’è ribellato e vive una vita tutta sua.
Guardi a destra. Guardi a sinistra.
Esclami:
“a saperlo che era pasta ca’ sarsa non ni manciava”.