Incroci
La teneva d’occhio da qualche giorno. Saliva sempre alla stessa fermata (RESPIGHI, 8 lettere) e sperava sempre di mettersi seduta allo stesso posto, ultimo vagone lato sinistro rispetto al senso di marcia.
Quando riusciva a sedersi posava sulle ginocchia la borsa di tela verde militare, una di quelle che usavano ai suoi tempi i ragazzi delle superiori (TASCAPANE, 9 lettere), e su di essa le mani con le dita intrecciate. Poi chiudeva gli occhi, e lui poteva guardarla senza metterla in imbarazzo. Il trucco era leggerissimo, quasi invisibile. I capelli erano tutti tirati all’indietro, raccolti in uno chignon (CROCCHIA, 8 lettere) color miele. Era la testa di una danzatrice. Al collo portava una catenina con il nome, ma quello non riusciva bene a decifrarlo perché era spesso coperto dal colletto o dalla sciarpa color corallo che indossava.
Secondo un suo orario imprevedibile a un certo punto del percorso riapriva gli occhi, sgranandoli. La prima volta che le aveva visto fare questa cosa aveva fatto un balzo sul posto dov’era seduto. Era come se due fari accesi lo stessero puntando durante un interrogatorio di polizia. La bocca gli rimase aperta per lo stupore e fu costretto a guardare da un’altra parte. Le iridi erano di un colore che non aveva mai visto dal vero (ZAFFIRO, 7 lettere). Per sua fortuna, dopo aver spalancato gli occhi solitamente lei li teneva quasi tutto il tempo socchiusi, guardandosi in giro.
Sorrideva, ma non come chi sta pensando fra sé a qualcosa di piacevole.
Sorrideva, ma non come chi sta pensando fra sé a qualcosa di piacevole. Lei sorrideva a ciò che la circondava in quel momento: lo studente con le cuffie, la signora anziana con la sporta seduta accanto a lei, il lettore di gialli che non alzava mai il naso dalla sua avventura, lui stesso, che la guardava solo quando lei non lo stava guardando. Sorrideva dal lunedì al venerdì, senza disparità, senza preferenze. I passeggeri salivano e scendevano e lei li guardava e sorrideva, senza disparità, senza preferenze.
Poi arrivava la fermata DUOMO (5 lettere) e lei si alzava per scendere alla fermata successiva. Lui la perdeva di vista: lei veniva risucchiata dalle porte che si aprivano e si richiudevano dietro di lei. E nel vagone tornava il grigio d’ordinanza.
Una mattina era riuscito a mantenere un posto vuoto accanto al suo fino alla fermata Respighi. Lei entrò e si sedette accanto a lui. Chiuse gli occhi come al suo solito, ma quando li riaprì, senza spalancarli, cominciò a rovistare nel tascapane. Ne tirò fuori un paio di occhiali e una rivista piegata a metà. Lui ebbe un sussulto di cui fu il solo ad accorgersi. Era una rivista di enigmistica, uno degli “innumerevoli tentativi di imitazione” vantati da quella ben più famosa, a cui anche lui aveva aspirato. Per essere precisi, non era “una” rivista di enigmistica: era quella dove lavorava lui.
Lei aprì la rivista dove aveva lasciato la matita. Lui sbirciò: le parole crociate a schema libero di pagina 17. Lo schema era quasi completato, mancava solo qualche sigla qui e là e un paio di parole di 4 o 5 lettere. Tutto intorno allo schema c’erano fiorellini e stelle disegnate a matita e il suo pseudonimo (G. Leopardi) era stato trasformato in un parallelepipedo. Era la prima volta che vedeva qualcuno risolvere un suo schema sulla rivista. Era così che dovevano sentirsi gli scrittori quando vedevano in giro qualcuno che leggeva il loro libro.
La ragazza completò lo schema e disegnò una faccina sorridente accanto al titolo. Era già arrivata alla fermata Duomo: ripose in fretta la matita e la rivista e si avviò all’uscita.
Emozionato, continuò a pensare a lei per tutto il giorno, costantemente. L’indomani doveva consegnare lo schema per il numero in edicola a fine mese: era quasi pronto, ma gli venne un’idea. Avrebbe introdotto una definizione solo per lei. C’era ancora tempo. Doveva pensare. Quale parola poteva usare? Ah, ecco: la fermata!
Cominciò a cancellare una parte dello schema e vi fece entrare RESPIGHI: Compose “I pini di Roma”. Dovette aggiustare qualche incrocio qua e là, ma alla fine gli sembrava che tutto filasse. Il revisore sembrava soddisfatto.
Ora doveva solo aspettare che uscisse la rivista. E nel frattempo?
Doveva saperne di più. Dove lavorava? Cosa mangiava? Cosa le piaceva fare? Cosa leggeva? Cosa ascoltava?
Decise di prendere appunti, come faceva per gli schemi tematici a cui dedicava più tempo.
La mattina, quando la vedeva salire, tirava fuori il taccuino e la matita e annotava: SANDALI – LUMINOSA – SORRISO. Non riusciva ancora a vedere il suo nome, nascosto dalla sciarpa. Cominciava a odiarla, quella sciarpa.
Decise di scendere anche lui alla fermata dopo Duomo: la seguì poco lontano, riemergendo in strada subito dopo di lei. Gli piaceva come si muoveva, il passo leggero. La seguì fino all’ingresso di un bar e rimase fuori ad annotare che cosa prendeva per colazione. CAPPUCCINO, 10 lettere. Ora forse era meglio andare. Non voleva che lo prendesse per un maniaco.
Passavano i giorni e le parole sul suo taccuino divenivano più numerose.
Passavano i giorni e le parole sul suo taccuino divenivano più numerose. Il nuovo numero era uscito e la ragazza diligentemente completava il suo schema, soffermandosi talvolta con fare compiaciuto sulle parole scelte appositamente per lei. Incrocio dopo incrocio le parole si intrecciavano agli sguardi. Lei non perdeva un numero. A lui non sfuggiva una parola.
Finalmente, qualche mese dopo, comparve il 24 orizzontale: Nome di donna, 7 lettere. CLAUDIA. Lui era lì, quando lei riempì le caselle con le lettere del suo nome. E quando lei si alzò, le porse un foglio ripiegato in quattro.
Claudia…
La ragazza prese il foglio senza avere il tempo di chiedersi come facesse quel tipo che incontrava ogni mattina in metro a sapere il suo nome. Scese dal vagone e si ricordò che era scritto sul ciondolo che portava al collo. Poi la curiosità vinse sulla fretta.
Aprì il foglio. Era un cruciverba a schema libero, 12×15, il cui titolo era “Incroci”. Sotto, tra parentesi come da convenzione enigmistica, lo pseudonimo dell’autore:
(G. Leopardi)
Si fermò. Lesse.
1 orizzontale: Il colore dei tuoi occhi, 7 lettere.
Incrocio con l’1 verticale: Come rimango io quando ti vedo, 5 lettere.
Non sapeva se essere terrorizzata o lusingata. Quel tipo le piaceva: lo teneva d’occhio da un po’, lo aveva visto prendere appunti su quel taccuino, ma non pensava che stesse componendo qualcosa. Figurarsi se immaginava che stesse componendo qualcosa per lei.
Gli avrebbe risposto con uno dei suoi sudoku.