La tratta degli schiavi
Squillava il telefono. Esitavo a rispondere nella speranza che dall’altra parte avessero desistito a cercarmi. Alla terza volta consecutiva dovetti farlo perché mi stavano esplodendo i timpani.
“Si?”
“Gudison Salvatore?”
“Non proprio in questo modo! Chi mi cerca?”, dissi
“Telefono dall’agenzia a cui lei ha lasciato i dati personali per quella proposta di lavoro”
“Ah bene, cosa dovrei fare?”
“Venga alle 11.45 ai nostri uffici siti in via ******* e salga al secondo piano. Ci saranno i colloqui. Buona giornata”. Riagganciò.
Erano ancora le nove e mezzo e io non avevo le forze necessarie per alzarmi dal letto. Ero tornato alle prime luci dell’alba da fare baldoria. Ero in un lido e dopo un mese avevo rincontrato una mia vecchia conoscenza: Mariù. Aveva appena terminato gli esami universitari ed era rientrata a casa. Avevamo lasciato un discorso in sospeso tempo prima e volevamo chiuderlo.
L’avevo notata scatenarsi in pista. Io me ne stavo appoggiato vicino al bancone del bar, attendendo di offrirle qualcosa. Quando mi notò balzò e in un attimo fu da me. Rimanemmo qualche altra ora a ballare e baciarci. Verso le cinque salutò le sue amiche e decise di venire a casa mia.
Finimmo a letto, cosa più che normale, e ci demmo da fare per qualche altra ora. Quando ci addormentammo era ormai giorno. Quel parlare al telefono aveva fatto rigirare Mariù sulle lenzuola, ma non si era svegliata. Cercai di raccogliere tutte le energie necessarie e mi avviai al cesso. Pisciai a lungo, poi andai in cucina e bevvi in un sorso quasi un litro d’acqua. L’arsura mi stava logorando.
Trovai i vestiti che indossavo la sera prima rovistando sul pavimento tra l’intimo di lei e altra roba. La camicia si era sgualcita ma non avevo la forza di prenderne un’altra. Indossai le scarpe e quando partii mi dovetti fermare. Erano piene di granelli di sabbia. Tornai al bagno e le svuotai nel water.
Fuori si stentava a stare. Era una classica giornata di luglio in Sicilia. Faceva un maledetto caldo. Con quell’umidità che ti fa sudare anche le ossa. Trovai la via e suonai al citofono. Rispose la stessa voce che prima mi aveva chiamato. Si aprì il portone e salii al secondo piano. La sala d’aspetto era stretta, le sedie a giro appoggiate alle quattro pareti erano interrotte solamente da due porte, quella del bagno e l’altra di un ufficio, che sicuramente doveva essere quello in cui fare il colloquio, e infine, da un boccione d’acqua e un distributore di caffè.
C’era una sedia libera e andai a sedermi. Molti rimanevano in piedi. Un tizio mi disse di riferire il mio nome appena sarebbe uscito l’uomo addetto a registrare i presenti. Un altro colloquio finì e andai a comunicare il mio arrivo. Da dentro una voce femminile invitò il prossimo ad entrare.
Tornai a sedermi ma mi alzavo spesso per andare a pisciare. Non stavo bene, avevo la nausea e tutti i fastidi legati alla sbornia. Andavo anche alla macchinetta per farmi dei caffè amari. Facevano schifo, letteralmente. Di fronte a me un tale che mi aveva già urtato mi teneva d’occhio, qualsiasi cosa facessi.
Intanto man mano usciva gente da quella stanza, tutta imbronciata. Neanche salutavano ma tiravano dritti verso l’uscita. Iniziava a mancare l’aria lì dentro con tutte quelle persone accalcate. Qualcuno chiese che fossero accesi i ventilatori. Si udì sbraitare dall’altra stanza e poi eccola davanti a noi miss chiattona che ci rimproverava di essere troppo esigenti, che se non ci stava bene la situazione potevamo anche andarcene. Non mi ero sbagliato su di lei prima. Se ne tornò di là.
Il silenzio, rotto da qualche mosca, zanzara o dalla bolla dell’ossigeno che tornava su nell’erogatore d’acqua, era tornato a regnare su quella mandria di disperati. Qualcuno faceva ipotesi su cosa potessero chiederci, qualche altro diceva la sua sulle mansioni che avremmo dovuto svolgere una volta assunti. Non sapevamo però quanti lo sarebbero stati. Non ci era stato spiegato.
Il signor sotuttoio, quello che mi fissava da quando ero arrivato, disse la sua “sicuramente dovremo gestire un gruppo di persone che lavorerà alle nostre dipendenze. Avevo chiesto per telefono e così mi è stato riferito.”
Io ero andato per l’ennesima volta al cesso e quando mi sedetti dovette dire qualcosa. Non riuscì proprio più a trattenersi.
“Ehi amico ma hai problemi con i reni?” e scoppiò a ridere con altra gente.
“Ehi amico perché non inizi a farti un po’ i cazzi tuoi che hai già fatto abbastanza? Sono due ore che ti sopportiamo.”
Nessuno ebbe più il coraggio di dire niente. Nemmeno lui.
Le mie condizioni psico-fisiche peggioravano ma ero ancora in gabbia. Non era arrivato il mio turno ed era pure passata l’ora di pranzo. L’unica nota positiva era stato il fatto che mister sotuttoio se n’era andato a testa bassa come tutti gli altri, senza proferire parola.
Era stato intollerabile, il classico personaggio che nelle situazioni peggiori e spiacevoli è sempre presente a far precipitare la situazione. Quello che di qualsiasi cosa parli, lui sa tutto. Qualsiasi cosa vorresti fare, lui l’ha già fatta.
Oramai eravamo rimasti in cinque e tra poco sarebbe toccato a me. Prima di andare mi toccò vomitare un po’. Erano i rimasugli della serata passata e succhi gastrici. Nello stomaco non avevo altro. Non vedevo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti, magari con la consapevolezza di aver trovato un buon lavoro.
Finalmente arrivò il mio turno.
“Goodson” disse l’uomo sporgendosi dalla porta dell’ufficio.
“Prego entri”.
Mi accomodai di fronte a miss cicciona acida e appresso a me si sedette anche il suo assistente.
Fu lui a farmi alcune domande mentre vedevo che lei spulciava il mio curriculum vitae.
“Vedo che non è italiano”
Si fece dire cosa ero venuto a fare e qualche altra cosa che nemmeno ricordo.
“Per me va bene così, adesso inizierà il vero e proprio colloquio con la signorina”
Ecco il motivo dell’acidità di questa cicciona. Non aveva mai messo un cazzo nella sua fica e arrivata alla soglia della via del non ritorno aveva iniziato a prendersela col mondo intero.
“Bene” disse
“Leggo che ha avuto molte esperienze lavorative e anche buone. Le spiegherò di cosa si tratta quello per cui l’abbiamo contattata. Noi gestiamo il servizio di volantinaggio a scopi pubblicitari di molte aziende. Ogni responsabile gestisce un gruppo di ragazzi che hanno il compito di andare in giro per i vari comuni, casa per casa, a distribuire il materiale. Sarà lei a portare sul posto le suddette persone e riprenderle. Nel frattempo caricherà il materiale sui nostri furgoni e man mano glielo porterà in modo da completare nell’arco di una giornata il lavoro in più comuni possibili. Si inizia la mattina alle 7.30 e si finisce il pomeriggio alle 19. Per lei che è un responsabile il nostro piano pagamenti prevede la somma di 400 euro mensili, e…”
Non fece in tempo a finire quello che stava dicendo che io mi ero già alzato e avevo aperto la porta, uscendo.
Non avrei mai preso parte a questa tratta degli schiavi.
“A questo punto dobbiamo quindi considerare rifiutato l’incarico sign. Gudison. Sign. Gudison ascolti. Torni qui sign. Gudison…”
Seguitava a sbraitare, continuando a sbagliare il mio nome miss culona, mentre io avevo già imboccato le scale per uscire e andarmene più lontano possibile da quei negrieri.