La vita del fuori: intervista a Carlo Fenizi
Il 20 maggio è uscito Istmo, di Carlo Fenizi. Il film racconta la storia di Orlando, un uomo che non esce mai fuori dalle quattro mura che lo circondano, lavora e vive attraverso il computer, intrappolato nelle sue mille manie.
Ho parlato con Carlo Fenizi della nascita di Istmo, di direzione degli attori, di cinema come rito, di distanza, di contatto.
-Com’è nata l’idea del film e com’è cresciuta?
-L’idea è nata da una riflessione sui rapporti che si creano oggi tra le persone, sulle modalità di relazione.
Questa riflessione ha portato a una rappresentazione iperbolica della vita del protagonista, il quale – attraverso un contatto continuo con i social network – riesce a non aver più bisogno del mondo esterno.
Attraverso quest’iperbole volevo raccontare il concetto di contatto e di esperienza. Oggi non abbiamo più l’abitudine all’esperire le cose che ci capitano. Prima di entrare veramente in contatto col mondo e con gli altri, abbiamo un primo contatto sempre virtuale. Un contatto che ci facilita l’idea della realtà. Prima di arrivare al contatto vero – che sia con una persona, una cosa, o un luogo – passiamo sempre per un’anticipazione virtuale che ci fa perdere la verità delle cose.
Io volevo raccontare questo, volevo riflettere senza giudizio. Volevo raccontare cosa può essere una vita in cui uno si rende conto di poter rinunciare al contatto con il mondo esterno. Poi è arrivato il Covid-19.
È assurdo perché il film è stato fatto in tempi non sospetti e poi ci siamo ritrovati a raccontare la vita di un personaggio che è la stessa che abbiamo fatto noi in isolamento. È una coincidenza.
Il film inneggia al contatto con l’altro. La pandemia è stata il colpo di grazia all’esperire le cose in maniera diretta. Volevo incitare al contatto ed è successa questa catastrofe planetaria che obbliga in maniera ufficiale al non contatto.
Da una parte è stato anche un bene per il film uscire in questo momento.
-Ripenso al meraviglioso monologo di Antonia, verso la fine del film. Un inno al cinema, all’uscire, all’esperire, al contatto, alla condivisione.
-Quella è la parte che ho scritto con più amore.
C’era un trasporto particolare in quel momento di scrittura.
-C’è un paradosso interessante poi: da una parte, come stiamo dicendo, il chiaro intento di Istmo dell’inneggiare all’esperienza che solo la sala cinematografica può regalare. Dall’altra il fatto che il film è uscito allo scoperto sulla piattaforma Chili. Sì, vedere un film a casa su una piattaforma regala un’esperienza tendenzialmente più povera. Tuttavia è stata proprio la piattaforma a salvare Istmo, che sarebbe dovuto uscire a maggio al cinema ma si è ritrovato bloccato a cause delle chiusure causate dalla pandemia.
-Noi sosteniamo sempre il cinema.
Istmo uscirà nelle sale nei prossimi mesi e durante l’estate è stato presentato alle arene all’aperto. Ma è anche vero che Chili ci ha salvati. Abbiamo avuto un primo momento di disperazione quando c’è stata la chiusura. Immagina tutto il lavoro fatto per contrattare le sale, i giorni di programmazione. Una grande fatica per una piccola produzione.
Abbiamo visto crollare tutto.
Poi all’improvviso abbiamo visto la possibilità di essere posizionati su Chili per un anno intero in vari paesi europei. Le cose cambiano. C’è un approccio più democratico. È ovvio che da un punto di vista morale e artistico siamo a favore del cinema come sala, come luogo, come rito collettivo, come esperienza. Tutti i punti che dice Antonia nel monologo. Ma a volte si scontrano le dinamiche commerciali ed economiche con la morale. Esistono dinamiche escludenti, o meglio, esclusive. I finanziamenti pubblici sono difficili da ottenere per le piccole produzioni.
-Tornando al film, Orlando non esce di casa, si è creato il suo nido, bloccato nelle sue paranoie. Penso invece al contrario, alle persone che vivono la paura di stare a casa da soli. L’estremo opposto.
-Sicuramente questo periodo di isolamento ci ha fatto bene per riflettere su molti aspetti della vita. Ma se dovessi fare un bilancio tra i lati positivi e negativi io ti direi che preferisco senza dubbi la vita del fuori. La vita del fuori, perché è più naturalmente pericolosa, perché ti espone, ed è la vera vita per cui siamo stati progettati.
-A proposito di relazioni, hai studiato direzione degli attori a Cuba. Come scegli il cast e che tipo di rapporto hai con i tuoi attori?
-Sono contro l’idea del casting, contro la figura del casting director, cioè di colui che ti propone una scelta di persone. Io giro, vedo, conosco e sento, mi faccio trasportare da alcune persone che so che potrebbero essere giuste per me. Non mi viene da allestire un bando di provini, preferisco seguire il mio istinto verso alcune persone.
Ho sempre avuto un bellissimo rapporto con i miei attori. Un rapporto viscerale. È un aspetto che curo moltissimo. C’è sempre un rapporto umano e intimo, prima che professionale. Senza di quello non si può arrivare ad un’idea comune. Quello che ho io in testa deve essere un obiettivo condiviso.
-Per forza condiviso?
-Sono capitati momenti in cui l’attore o l’attrice non capiva bene dove andasse il personaggio. Mi è stato detto “Io non ho ben capito, ma lo faccio, mi fido di te”. Poi l’hanno capito al montaggio, una volta visto il risultato finale.
L’attore perfetto secondo me è quello che, anche quando non capisce, si fida del regista, dato che è il regista ad avere la visione globale.
-So che per te lavorare con Antonia San Juan è stato un sogno diventato realtà. Lei recita in italiano nel film. Come si è preparata?
-Antonia è una macchina da guerra. Le puoi chiedere di fare un monologo di dieci pagine in cinque lingue che lei non conosce e lei lo fa, senza sbagliare una sillaba.
Il personaggio di Antonia, nonostante si capisca che è una donna spagnola, doveva necessariamente parlare in italiano per essere compresa nell’immediato dallo spettatore. Abbiamo fatto delle prove, io le ho tradotto il testo in spagnolo affinché lei capisse chiaramente tutto. Poi le ho registrato tutto il dialogo, senza indicazioni di interpretazione, solo per la pronuncia. In seguito ci siamo incontrati più volte a Madrid per le prove e poco prima di girare lei si è preparata con un coach, ha perfezionato la pronuncia.
Lavorare con lei è stato un sogno e un onore.
Mi ha colpito l’umiltà che la distingue, nonostante sia famosissima. Camminare con lei a Madrid è impossibile perché la fermano tutti.
Un’attrice a totale disposizione, nella totale fiducia, con una disciplina unica.
Aspettando l’uscita di Istmo nelle sale cinematografiche, ringrazio Carlo Fenizi per questo confronto pieno di riflessioni preziose.