La scuola
No, non lo so che cosa è. Forse il rumore di un legnetto sulla ringhiera che ci separava da un giardino meraviglioso che non si lasciava guardare dentro, o forse la porta sempre aperta del bar di quartiere, il caffè era per i grandi.
E la biondina, che lei andava da sola e quando si affiancava a noi io, ci provavo a lasciare la mano di mia madre, ma era una stretta d’acciaio.
E non so nemmeno se fosse il rosso della cartella in similpelle o l’odore dell’estate che mi bruciava ancora le narici e il collo sudato che era ancora presto per coprirci.
In tanti sciamavamo verso il portone, profondo come un enorme buco, la luce era fuori. Non sapevamo che era falso.
E forse erano quelle macchie azzurre che spalancavano occhi e nascondevano gomme da masticare dure e verdi nelle tasche e facevano gruppetti, forse i fiocchi che nessuno sapeva rifare.
La scala imponente e le porte che si aprivano su corridoi infiniti e le grate alle finestre perché è al sicuro che si doveva stare, il mondo attraverso un setaccio.
Ma il suono che ricordo meglio è quello del battito accelerato, le guance imporporate, sapere che sarebbe accaduto qualcosa.
Le melagrane, la mia cartella, una penna, un quaderno e la fame d’autunno e di storie. Siamo cresciuti perché abbiamo mangiato la vita a grandi morsi seduti dietro ai banchi di scuola.
Scuole solide, ecco le cose buone del fascismo direbbero. Per carità, farò finta di non avere sentito.
La bidella Gemma dura come il nome che portava, preparava il caffè con la moka alla scuola Edmondo de Amicis, in un quartiere rimasto difficile, indossava un camice come una farmacista, adesso che ci penso aveva un rimedio per ogni cosa.
Oggi accanto alle mimose c’è una chiesa di culto evangelico, un enorme tendone bianco che non me ne voglia nessuno, ma è un’offesa alla bellezza e a ogni logica architettonica. In quello spazio giusto sotto le finestre, la classe con la maestra Jole, si metteva in posa per la foto di fine anno.
Bianco e nero, spiccavano i nostri colletti candidi, io grassottella con le braccia conserte.
La scuola era una cosa seria.