Come un’impronta
“Sai che impronta in greco si scrive Ichnussa?” domanda Salvatore da dietro il bancone del bar, mentre versa della birra su un bicchiere ghiacciato.
“Sì? Ma lo sai pure scrivere in greco?” provoca Pietro mentre si rilassa guardando il mare. Da anni si reca in Sardegna per le vacanze estive e Salvatore è come un fratello conosciuto a vent’anni, perché mica c’è una scadenza per trovare un fratello, o una famiglia scelta, o un posto del cuore, un amore.
“No, mi basta saperlo pronunciare!” risponde borbottando Salvatore.
“Impronta eh?” domanda nuovamente Pietro.
“Impronta.”
Pietro sorride all’amico che si avvicina a un tavolo poco distante dal suo, così da poter prendere l’ordinazione di un gruppo di giovani vacanzieri, anche loro hanno scelto la Sardegna per le vacanze estive.
Impronta, che bella parola pensa tra sé e sé Pietro, che arriva da Bolzano e di mestiere fa il giornalista, o almeno ci prova. In redazione si trova bene, i suoi colleghi sono simpatici e pure la direttrice del giornale non è male.
Quando Pietro sta fuori casa porta sempre con sé un piccolo taccuino e una penna perché l’ispirazione per le parole arriva senza chiedere, e un appunto per un giorno in cui le idee scarseggiano o un foglio bianco quando hai voglia di scrivere, beh possono salvarti la vita, o più semplicemente farti risparmiare una strigliata dalla Dottoressa Fogli. Il taccuino è rosso e blu, “come i colori del Cagliari!” gli aveva detto Salvatore la prima volta che avevano chiacchierato.
Birra fresca, mare di fronte, una pagina bianca e una penna. Ecco l’ispirazione, e quando arriva la penna si muove da sola con il ritmo dei pensieri.
Come un’impronta.
La Sardegna ha la forma di un’impronta di sandalo, o di un piede scalzo, come raccontano tante leggende attribuite all’origine di questo luogo. Persino una birra prodotta qui richiama la parola impronta, e ora che la sorseggio a due passi dal mare penso ancor di più all’importanza di questo significato.
Ricordo la prima volta che sono venuto su quest’isola, avevo vent’anni e uno zaino vecchio e malandato. Sono sbarcato con la nave a Golfo Aranci e sono arrivato in autostop fino a Cagliari, passando per la Valle della Luna; voi la conoscete la storia della vale della Luna? Perché è affascinante e ancora viva, viva quanto il cuore pulsante della Barbagia dove il vino non si rifiuta mai soprattutto se a offrirtelo è Bastiano, un pastore che deve accompagnarti fino a Cagliari passando per la splendida Ogliastra e il suo mare dove la foca monaca aveva la residenza.
Cagliari non ve la racconto perché dovete vederla al tramonto. Io ci torno qui ogni anno, pure in questo anno difficile, però ho visto anche il Sulcis, l’Oristanese e il Sassarese e ho pure sentito parlare il catalano nei bastioni ad Alghero.
Quante impronte ho lasciato qui. Quante impronte ha lasciato quest’isola su di me.
Quante impronte lasciamo nei luoghi che visitiamo, nelle persone che incontriamo. Quante impronte gli altri lasciano su di noi. Alcune lasciano lividi che impiegano tempo per andar via, alcune lasciano cicatrici di giorni pieni di risate e amore che ci hanno reso migliori. Alcune impronte non le apprezziamo subito, altre impronte devono ancora travolgerci. Siamo calpestati di vite mentre camminiamo su altre vite. Davanti a noi mille strade e incroci su cui lasceremo impronte…
La concentrazione viene bruscamente interrotta dalla suoneria del cellulare, puntuale come una direttrice di giornale che ti chiama quando in fondo te lo aspetti, soprattutto se devi consegnare un articolo con tema vacanze 2020 ai tempi di una pandemia. Il display lampeggia: Vittoria Fogli.
“Buonasera Dottoressa!”
“Buonasera a lei Pietro, tutto bene?
“Sì bene grazie, e lei?”
“Tutto bene. Non volevo disturbarla durante le ferie ma solo ricordarle la scadenza per martedì a mezzogiorno”
“Si grazie, ho quasi ultimato il pezzo.”
“Bene, qualche anticipazione?”
“Credo che lascerà, come dire, un’impronta!”