Il fiume – VII – Possibilità di temporali anche a forte intensità
“Vedi quel rivolo d’acqua?”
“Quale?”
“Quello lì, guarda, quello che scende dai campi e raggiunge il grosso del fiume. Lo vedi?”
“Si lo vedo. Quindi?”
“I rivoli d’acqua erano la mia disperazione quando ero bambino”
“In che senso?”
“Quando ero bambino i pomeriggi li passavo da mia nonna. I miei genitori lavoravano. Solo che hai presente dove abitava mia nonna? È una casa isolata, ecco, e non c’era mai niente da fare, nessuno con cui giocare. La televisione ce l’aveva ancora in bianco e nero e poi l’antenna era un disastro, pensa te. Allora il mio passatempo era creare dei piccoli fiumi. Scavavo nella terra dove era un po’ in pendenza e poi con la canna ci facevo scorrere l’acqua. Ma non mi riusciva mai. Una volta non c’era la pendenza giusta, l’altra il terreno assorbiva tutto, l’altra ancora qualche cazzo di imprevisto. Mai, mai una volta. E invece vedi come riesce facile all’acqua del fiume. L’acqua fa quello che gli pare, Mimmo. Quello che gli pare. Se il temporale verrà, quel rigagnolo diventerà un piccolo fiume”
“Quello che gli pare, giusto. Come me insomma. No?”
“Si vabbè. Dammi una sigaretta va”
“Ascolta Ste, hai fatto bene a studiare. Come vedi con la zappa non ci hai mai saputo fare”
“Detto da te è un complimento, Mimmo. Se vuoi ti ricordo come ti chiamava tua moglie e perché lei e tua figlia…”
“Questa te la potevi risparmiare Ste”
“Dai Mimmo era così per…”
“Era così per un cazzo. Vattele a comprare le sigarette. Non mi devi più rompere i coglioni con sta storia. Tu credi di poter parlare di tutto e tutti. In libertà. Perché ha studiato lui. Speriamo che venga presto questo temporale che han messo, così me ne vado che non so manco perché son venuto”
L’umidità si era raccolta sulle cime dei monti. Echi di tuoni lontani avevano iniziato a udirsi a mezzogiorno. Il cane del fiume non trovava requie e gironzolava tra un gruppo di persone e l’altro senza annusare alcunché. Neppure una accurata pulizia dei genitali gli diede pace. L’umidità si era ben presto fatta nuvola e le nuvole si erano fatte tante e parevano ormai pronte a scendere a valle come un’orda barbarica. Presto il temporale sarebbe arrivato e con esso i tuoni, i lampi, il rumore delle fronde degli alberi sferzate da acqua e vento. Il cane del fiume emise un leggero guaito. Lo sterno palpitante sotto il pelo nero.
Mentre Luana e Gian percorrevano il sentiero che dai campi giungeva al fiume videro Luca e Gigi intenti a macchinare qualcosa nell’erba alta nei pressi di un vecchio carretto. Vedendo gli adulti arrivare i due ragazzini iniziarono a muoversi goffamente e per poco Luca non abbozzò una frase. Ma Luana e Gian avevano proseguito senza dare alcun peso ai due giovani. Se avessero indagato meglio avrebbero certamente visto malcelate nell’erba una decina di patate che i due ragazzini avevano raccolto dal campo limitrofo e ammucchiato al limitare del sentiero che portava al fiume. Gigi raccolse una patata e la soppesò nella mano. La mano era sudata e la fronte pure. E così anche la schiena di Luca, che ansimava e si toccava ora lo sterno ora la fronte. Poi da dietro il canneto che li separava dallo spiazzo adibito a parcheggio udirono i passi di qualcuno e tuonò forte, più forte di quanto avesse tuonato prima. I due ragazzi stavolta fecero in tempo a nascondersi dietro il carretto di ferro arrugginito e tavole marce. Videro passare l’uomo sconosciuto, ma del ragazzino biondo non c’era traccia. E questo era assai strano perché non c’era stata una sola volta in tutta l’estate che il biondino non fosse arrivato assieme al padre.
Luana piazzò l’asciugamano accanto a Mimmo. Ancora una volta per Gian non ci sarebbe stato posto nella piazzola di sabbia. Ma l’uomo aveva altro per la testa, i suoi piedi scalpitavano sui sassi. Quel giorno sarebbe ricominciata la remuntada. Non che avesse granché in mano, giusto un paio di cose sull’uomo sconosciuto che Ste gli aveva raccontato. Poca roba, diceva tra sé, ma se te la giochi bene è pur sempre qualcosa da cui ricominciare. Qualcosa da dire. Qualcosa di più interessante degli altri. Qualcosa di più interessante di Mimmo. E Gian iniziò a parlare.
“Oh, so un paio di cose sullo sconosciuto che ciao, le dovete sapere per forza”
“Capirai cosa avrai saputo” ribatté Mimmo. E si voltò verso Luana, ma non incrociò il suo sguardo che per pochi attimi dopo di che i suoi occhi vagarono oltre fino la piazzola di sabbia dove c’era il gruppo di ventenni. Cercò Katia. Vide una nuvola di fumo. Erba. Un paio di ragazzi. Katia? Non c’era Katia. La minaccia del temporale, forse. Mimmo serrò la mandibola.
“Vi dico che sono cose interessanti, ora vi racconto”
“Ma smettila”
“Lu, non le vuoi sentire ste cose? A casa mi hai detto che eri impaziente e io ti ho detto aspetta, aspetta che al fiume te le dico” Ma Luana non aveva più orecchie e gli occhi si erano fatti di fuoco. Perché Luana sapeva benissimo cosa cercassero gli occhi di Mimmo alle spalle di lei.
“Oh, ma mi cagate o no?”
“Ascolta, c’è qualcosa di strano” disse Gigi. I due erano ancora nascosti dietro il vecchio carretto. “Forse è meglio se vai a vedere nel parcheggio dove mettono le auto e le bici” aggiunse.
“Si certo, e perché proprio io?” rispose Luca.
“Perché tu sei magro e svelto. Io sono, sono un po’…”
“Grasso. Si, sei grasso”
“Tua mamma è grassa, stronzo”
“Maiale di merda”
“Ascolta, ricordati che l’agguato lo stiamo facendo per te coglione”
“Questo è vero a metà. Sei tu che l’hai proposto”
“Si ma per te. È a te che il biondino di merda sta fregando la tipa”
“Non sta fregando niente”
“Beh ascolta, come ti pare. Però devi andare a vedere dove si è rintanato quel bastardo, c’è poco da fare. Dai su”
“E va bene, vado” e così dicendo, con la schiena abbassata e il passo leggero, Luca si appropinquò verso lo spiazzo dietro il canneto. Decise di passare in mezzo alle canne di bambù sfiorandole con le dita della mano. Poteva sentire il proprio respiro rimbalzare tra le fitte canne. Poi la visuale si aprì sullo spiazzo. E vide. E quella nausea, quel senso di vomito che aveva provato già un paio di volte in quell’estate arrivarono alla bocca dello stomaco come il cazzotto di un adulto.
Il cielo era oramai coperto e i tuoni si facevano sempre più frequenti e rumorosi. Il sole sarebbe stato presto inghiottito da cumuli neri. Le previsioni avevano messo possibilità di temporale dalle ore 19. Le previsioni avevano chiaramente sbagliato. Gian tentò più volte di attirare l’attenzione, ma Luana era oramai furente di gelosia verso Mimmo e non ascoltava nulla. Mimmo stesso era nervoso per l’assenza di Katia. Lo avesse saputo, con tutto quello che aveva da fare.
“Quindi non volete sapere cosa ho da dire sull’uomo sconosciuto?” ma le sue parole iniziavano a tremare. Gian ripeté la frase ma oramai balbettava di disperazione. Anche lui aveva sbagliato le previsioni. Aveva scommesso sul sole. Ed era tempesta. La sua posizione era rimasta quella: un subalterno. Un inutile comprimario. Luana, che a casa pareva così interessata dalle novità in arrivo, non lo considerava nemmeno. Mimmo addirittura lo zittiva. Un subalterno. Forse peggio. Stava sprofondando tra i sassi. Li sentiva ormai all’altezza delle ginocchia. Ste lo guardò in faccia. Lo vide perso, del tutto svuotato. Provò vergogna per lui. Distolse lo sguardo e osservò il cane.
“Basta dai Gian, adesso sei peso. Se non ti risponde nessuno è perché non frega niente a nessuno, su. Poi sembra che balbetti. Sei eccitato manco fossi una comare” disse infine Mimmo e fece un gesto conclusivo con il braccio, come a spazzare via tutta l’inutile questione. Gian sentì un gran calore avvolgere le tempie. Poi si sentì un grido. Poi un altro. Poi una serie di grida. Grida di ragazzini. Forti, disperate, violente.
Il primo ad accorgersi di quanto stava succedendo fu l’uomo sconosciuto. Riconobbe la voce del biondino e si alzò di scatto per capire cosa stesse succedendo. Poi si voltò anche Ste. “Ma che cazzo succede?” disse. E vide il biondino correre terrorizzato e in lacrime verso il fiume. Dietro lesto lo rincorreva Luca, la faccia irriconoscibile, stravolta dalla rabbia. Luca correva e talvolta si fermava giusto per raccogliere un sasso e lanciarlo verso il biondino. E dietro a seguire c’era Gigi, che gridava all’amico nel tentativo di farlo desistere da quell’impresa che lui aveva previsto diversamente. Ma anche lui, quel giorno, aveva sbagliato le previsioni. E infine Giulia, che correva anch’essa, ma senza un obiettivo preciso. Talvolta si fermava per raccogliere il fiato e strillare tutta la sua rabbia.
Allora accorsero un po’ tutti verso i ragazzini nel tentativo di fermare la funesta ira di Luca. E ci riuscirono in breve tempo. Ma ora c’era da calmare il biondino, dalla cui fronte usciva un rivolo di sangue, e pure Giulia, che gridava come un’ossessa tutto il suo odio nei confronti di Luca. Finché altre grida non coprirono quelle dei ragazzini e allora qualcuno si voltò in direzione del fiume e vide Gian e Mimmo intenti in una scazzottata goffa ma assai efficace. Fu in quel momento che scoppiò definitivamente il temporale. L’acqua iniziò a cadere forte sui sassi e sulle teste di chi lottava e chi cercava la pace e i tuoni a malapena coprivano le grida e le bestemmie.
Il cane del fiume ululò nel mezzo del campo di battaglia. Nessuno, tra tuoni e grida, lo udì. Erano le 16.30. Le previsioni meteo avevano sbagliato di due ore e trenta. Il rivolo che dai campi scendeva verso il fiume iniziava a prendere consistenza.