We were together, I forget the rest
Ci siamo. Auditorium, il ritorno. Musica live mia amata, eccomi. Solo tu e Tony Bungaro potevate fare il miracolo. Mesi di prigionia autoinflitta, alleviata un poco dai corsi on line, i film, i libri e la mia pittura. Gli abbracci degli amici ricordi lontani, ma le loro risate calde nel cuore. Non è lo stesso, è un mondo parallelo, mi dico finirà, prego e mando il mio amore a chi soffre e combatte, rifletto a lungo sul senso della vita. Senza capirci niente, ovvio. Ma almeno mi fermo a pensare, invece di imprecare e indaffararmi, come al solito. Le mie prime uscite sono state i giri per la spesa, le corse a vedere il mare e la musica. Da “cane senza padrone”, così mi definiva l’arguto padre, abituarmi alla museruola non è stato semplice. È un altro mondo. Mi dico finirà. Chissà cosa diresti tu, papà, adesso.
Tony o Toni, come preferisce farsi chiamare lui, ci ha tenuto compagnia dalla sua casa con brevi dirette musicali, per mesi, salutandoci personalmente e suonando cover a richiesta, reinventandole con la poesia della sua voce. Ci aveva detto, in quelle dirette, quanto sognasse di tornare sul palco a scherzare con noi e giocare con la sua band. Perché la musica è un gioco eterno e vitale, un gioco… come dicono in altre lingue. Sapevo da tempo che, appena possibile, sarebbe tornato a suonare e a passare di qua, all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Dove l’ho visto altre volte, anche se mai nello spazio della Cavea. Che devo dire, gli si intona benissimo, dall’anima di leone che ha. È la prima volta che vado a un suo concerto da reporter, prima ero solo fan e amica, è stato il mio insegnante in un corso di song-writing in cui ho avuto modo di capire che uomo speciale fosse al di là dell’artista. Oltre alla voce e alla chitarra magiche ha due occhi di ematite che ti interpretano in cinque minuti. A ognuno dei suoi “allievi”, che sono poi diventati amici, ha detto esattamente cosa già possedeva e cosa doveva cercare per crescere artisticamente. Con umiltà, ironia, mai da un pulpito e mai da un trono, ci ha rivelato, in pratica, come dobbiamo vivere. E ora siamo qui seduti, la reporter e il marito accompagnatore, in un ottimo posto di parterre insieme agli altri ottimamente distanziati e imbavagliati.
Questa serata si preannuncia favolosa, il concerto è di tre artisti: Bungaro, Nino Buonocore, altro mio amore grande, e la grande Rosàlia de Souza. Connubio Italia-Brasile, il migliore. Le danze le apre Tony, è così vicino che mi tolgo il bavaglio e gli lancio un bacio. Mio marito già comincia a vergognarsi. Tony ci intrattiene coi suoi modi gentili, ammiro il look total black in armonia coi capelli argento e penso alla mia ricrescita selvaggia da lockdown. Riccioli biondo-bianchi che vanno da tutte le parti come i miei pensieri. Una specie di Maga Magò; solo per i bimbi a scuola rimango sempre Fata Turchina. La bellezza negli occhi, sempre. E gli occhi di Tony sono lucidi stasera, poi ci spiega perché. Ha da poco perso un suo caro collega e amico, e il concerto è dedicato a lui.
Il primo pezzo è “Mare Immenso”, scritto per la mia omonima dalla voce fastidiosa e unica, che con la sua di voce onestamente rende meglio. Poi è la volta di tante altre del suo “Maredentro tour”, mi incanto a sentire la bravura dei compagni, ho un debole per il vibrafonista Marco e il suono cristallino della chitarra-gioiello, che ricordavo bene tra le sue mani quando suonava per noi allievi nella casa-studio. A un certo punto parte l’intro di “Que Sera”, a me parte una lacrima e ai miei foschi occhi appare una figura di sirena biondo crinita che gli si avvicina sul palco e ci incanta con una voce di sirena, appunto. Rosàlia. Vola, quella voce, tra le note di Tom e Vinicius, nella loro lingua melodiosa ed elegante. Poi tocca alla parte in italiano con Tony. Perfetta, e loro perfetti insieme. La versione salentina de “L’ombelico del mondo” di Jovanotti ci traghetta verso il prossimo artista, Nino Buonocore. Di cui ricordo la erre rotonda, l’animo di poeta in ogni strofa, il fisico sottile e la timidezza cronica. Tutto al suo posto, ancora oggi, in più ci sono barba canuta e occhiali. Non è in nero, lui, è molto più casual col jeans delavè e il panama. Dolcissimo, non parla quasi, sorride luminoso. Attacca con “Rosanna”, comincio a vacillare sotto il peso dei ricordi, continua con la colonna sonora della mia adolescenza, quando arriva a “Scrivimi” esondo completamente.
È un mago, la musica. Ti prende sulla sua astronave e ti porta così in alto da farti dimenticare il tuo nome. In quel momento musicista e pubblico sono la stessa cosa, autori di emozioni, strumenti del grande gioco, vasi comunicanti. Un buon concerto equivale in assoluto a una bella nottata di sesso con quello che credi sia l’amore della tua vita. In quel paio di ore ti senti esattamente così, in estasi clamorosa, per fare una citazione ad hoc. Lo sommergiamo di applausi, gli facciamo capire che il nostro amore è reale. Così Nino si ricorda dell’estro napoletano e si mette a fare battute. Che bello, il cuore d’artista. Non cresce mai. Lo raggiungono Rosàlia e Tony, cantano tutti “Soul Food To Go”, io salto letteralmente dalla sedia. Non mi metto in piedi per rispetto verso le persone sedute dietro di me e verso la mia veste ufficiale, ma ormai so ballare anche da seduta. Che bello, il cuore di maestra. Non cresce mai.
I due ragazzi abbandonano momentaneamente la scena e lasciano il campo alla ragazza, che ci trascina tutti nella sua terra malinconica e sublime con le ballate e i samba e la bossanova e la musica più bella del mondo, a mio personale parere. Fa anche un omaggio a Pino Daniele con la versione portoghese di un suo pezzo, ci racconta del legame speciale con l’Italia e la sua musica, ammiro la grazia felina con cui indossa il tubino e i tacchi e penso che bella anima e che bella voce in un corpo bello altrettanto. E non c’è nessuno intorno a dimenarsi vestito da circense, nessun sedere glitterato, niente grandi scenografie. Eppure lei brilla come una regina. In tubino nero e collana di perle. E quando arrivano i suoi re cantano insieme Battisti, in italiano. Ed è l’apoteosi, tutti cantano con loro, perfino il mio schivo consorte stordito dai miei movimenti tellurici sulla sedia.
È il momento dei saluti, e mi mancano già. Li vedo chiamare a raccolta i musicisti della band, protagonisti assoluti anche loro, e inchinarsi agli applausi. Poi Tony e Rosàlia riescono a dileguarsi indisturbati, mentre un tizio raffinatissimo molla un bambino a Nino, manco fosse papa Francesco, e un cd da autografare. E Nino, cuore tenero, non si tira indietro. Siamo tutti un po’ disperati, capisco. Vorremmo stare lì a sentirli, sotto la mite nottata romana, in quel moderno anfiteatro, anche col bavaglio, anche senza poterci assembrare sotto il palco. È un gioco, la musica. Eterno e vitale, come l’amore, come i versi di Whitman “eravamo insieme, dimentico il resto”.
Grazie, davvero.
Abbiamo visto “Bungaro/Buonocore/De Souza
Tutto in una notte”
Si ringrazia l’Ufficio Stampa dell’Auditorium Parco della Musica di Roma