Furto 18 – Le rose di Miah
Non mi piace ammalarmi, soprattutto adesso che vivo lontano da casa. Il malessere presuppone una cura, e non una cura qualsiasi, la cura di un bisogno e il bisogno richiede conoscenza, richiede fiducia.
La storia di Miah è arrivata nella mia vita casualmente, durante un qualsiasi scambio di messaggi con la mia collega e amica Giulia.
Miah vende rose sul lungomare di Milazzo, giù al sud, in Sicilia. Ha la faccia buona di chi farebbe del male solo per sbaglio, solo con una delle spine delle sue rose. Porta con sé un album di fotografie, i ritratti dei suoi figli, dei suoi cari, lasciati lontano ma scolpiti in un angolo dell’anima. È venuto in Italia e attraversa le spiagge con il sole in faccia, accarezzato dai raggi e dal calore della speranza, con in mano le sue rose, le rose di Miah.
È con Helena, sorella di Giulia, che Miah crea un legame, una connessione, come di fratelli diversi nel colore ma uguali nelle sfumature delle pieghe del cuore, come il nodo di una corda che più tiri più difficile sarà scioglierlo. Una gita sulla neve, Miah non l’ha mai vista, non l’ha mai toccata, c’è anche Arianna, un’altra amica con poco colore in faccia; ride come se avesse trovato casa sua in una casa non sua, oltre i confini, oltre le rigidità, oltre i sogni sfuggenti.
Miah scopre di avere il diabete, impara persino a usare l’insulina, ma continua a lavorare tutto il giorno insieme alle sue rose, nonostante il freddo, nonostante i no vattene, nonostante i come andrà, nonostante i chissà che staranno facendo a casa.
Nel 2016 ottiene il permesso di soggiorno, ottiene il diritto di provare a credere che qualcosa di diverso può accadere, che la terra poi non è così arida come ti fanno credere. Trova un lavoro, diventa badante, adesso le rose le disseta in un vaso. Dopo due anni di cambiamenti, di speranze e denti stretti Miah torna in Bangladesh dalla sua famiglia, dove rimane qualche mese, e lì riesce a sentire che nulla è cambiato, che l’odore del bene riesce ancora a saziarlo, riesce ancora ad avvolgerlo.
Ma poi torna in Italia, torna in Italia e arriva settembre, settembre del 2019. Miah chiama Helena, l’amica italiana che adesso abita lontano dalla Sicilia ma che gli è sempre rimasta accanto. Miah sta male, Miah è stato ricoverato in ospedale, Miah ha paura. Ha un cancro che lo sta logorando, un maledetto cancro in fase terminale. Helena è sconvolta, non sa che fare, lo chiama ogni giorno, ascolta i suoi bisogni, Miah si fida di lei, vuole tornare in Bangladesh, vuole morire nel suo Bangladesh.
Helena decide di non restare a guardare e di lanciare una raccolta fondi, perché Miah è lì che deve abbandonare la vita terrena, con una Milazzo che si mobilita e si commuove, insieme a lei.
È il 10 novembre, Miah si arrende.
Quella di Miah è una storia che è arrivata nella mia vita casualmente, parla di un uomo in un paese lontano, un paese che ha abbattuto le distanze, che ha dimostrato di essere ancora capace di dare un Nome a uno sconosciuto, un Volto, conoscerne la Storia e farla propria, renderla vicina, provare tenerezza, perché il Cuore, il Cuore sì, non ha colore, non ha indirizzo, non ha sovrastrutture.
Batte. Semplicemente batte.
Miah è morto, ma la verità è che la sua storia continuerà a girare fra le vie del borgo vecchio di Milazzo, perché parla di un gentiluomo con in mano le sue rose.