Il fiume – VI – Cuore di cane
“No dai, a me sta cosa non piace” disse Luca. E chinò la testa portandosi l’indice all’ombelico.
“Lascia fare a me. Tu alla fine mi devi solamente assistere. Ho bisogno che mi fai da palo. E poi lo faccio anche per te, su” rispose Gigi. Si alzò in piedi e si avvicinò all’amico quasi a volerlo sovrastare fisicamente.
“Ma io non credo che lo fai per me, a dire il vero. È a te che sta sui coglioni”
“E a te no?”
“Ma non lo so, alla fine manco tanto, voglio dire…”
“Vuoi dire cosa? Luca non fare il segaiolo come tuo solito” concluse Gigi, voltando le spalle a Luca. La vista del cane del fiume, di cui non si era accorto dell’arrivo alle sue spalle, spaventò Gigi che fece un salto sul posto. Quindi imprecò verso il cane e fece il gesto di lanciargli un sasso che in realtà non aveva colto. Il cane, che i sassi li aveva sperimentati di ogni misura e in ogni parte del corpo, preferì non rischiare e fece il gesto di schivare la pietra immaginaria.
Tra tutte le persone che frequentavano il fiume, quelle che decisamente stavano passando l’estate peggiore erano il giovane Luca e il più attempato Gian. Quest’ultimo passava l’intera settimana a rimuginare su come gestire la tresca, che a lui pareva ormai certa, tra la moglie Luana e Mimmo. Al mattino dei primi giorni della settimana queste elucubrazioni si facevano particolarmente violente. Il lunedì e il martedì era oramai abitudine che Gian si presentasse al lavoro con un paio di tagli sul mento dovuti ad un uso particolarmente deciso della lametta da barba. Con il passare dei giorni il livore verso sé stesso si tramutava in un atteggiamento scontroso nei confronti della moglie, la quale evitava di prestare il fianco alle provocazioni del marito e si mostrava anzi piuttosto accondiscendente e talvolta comprensiva. Il comportamento di Luana finiva per placare le ire di Gian, che già il giovedì si rivolgeva alla moglie con tranquillità e non disdegnando addirittura un qualche sorriso. E si arrivava così al fine settimana. Il sabato mattina l’umore di Gian era del tutto ristabilito. Radendosi con delicatezza e cura l’uomo pensava a come, nel pomeriggio o al più tardi il giorno seguente, avrebbe sistemato definitivamente la questione. E fischiettava una hit estiva, si spargeva il dopobarba sulle gote e immaginava scene fluviali in cui faceva la parte del Napoleone in un quadro di David. Puntualmente il sabato pomeriggio Gian finiva ai margini della conversazione tra la moglie e Mimmo e i suoi tentativi di inserirsi risultavano ridicoli prima di tutto a sé stesso. La domenica era infine il giorno della rassegnazione più nera. Non era Napoleone, per lui non ci sarebbe stato nessun David. Se ne stava per i fatti suoi a mortificarsi, tirare sassi nel fiume e accarezzare il cane come se davvero gli interessasse qualcosa di quello che in altre occasioni era solamente un ammasso di zecche e pulci. Talvolta scambiava due chiacchiere con Ste, giusto per lamentarsi della misera situazione a cui non riusciva a venire a capo. Persino lo sconosciuto aveva oramai perso interesse ai suoi occhi. Inizialmente aveva creduto potesse essere l’argomento utile a far breccia nell’intrigo tra Luana e Mimmo, una sorta di riscatto che lo avrebbe risollevato dalla situazione di subalterno in cui era stato messo. Ma non era mai riuscito a carpire un’informazione utile. E anche questa possibilità era finita in nulla.
“Ste, caro Ste. Tornassi indietro…”
“Abbi pazienza, Gian. Ma mi pare una cosa giusto per dire. Una cosa a caso intendo”
“E cosa dovrei dire?”
“Qualcosa di più interessante. Sforzati, su. Che se ti impegni ti vengono le parole giuste”
Gian tirò un sasso in acqua e disse “Mi vengono, si, a volte vengono anche a me. Ma mi vengono quando non servono”
“Tipo?”
“Tipo quando mi faccio la barba”
“Ah.” Ste allungò un piede verso l’acqua ma subito lo ritrasse. Si accarezzò la barba e quindi tirò indietro i lunghi e disordinati capelli “Ah.” ripetè quindi.
“Si, appunto, te l’avevo detto. Poi rimangono lì”
“Li dove? Nel lavandino? Allora ci sta che scivolino via insieme alla schiuma” Ma la battuta di Ste non fece ridere nemmeno lui. I due si girarono alla loro sinistra in direzione dell’uomo sconosciuto, seduto in quello che oramai era il suo sasso. Ste si accorse che l’uomo lo stava guardando. Questo lo inquietò. Ripensò alla breve conversazione di qualche giorno prima e al fatto che fosse l’unico a cui lo sconosciuto aveva rivolto parola. Gian non si accorse nemmeno dello sconosciuto. I suoi occhi erano su Mimmo, che si stava appropinquando in acqua giusto a pochi metri dallo sconosciuto.
“Vedi, così bisogna nascere, come Mimmo. Guardalo. Non guarda in faccia nessuno, lui. Una merda” disse. Quindi cercò con lo sguardo la moglie, che era rimasta seduta in uno degli isolotti di spiaggia, dove avevano appunto l’asciugamano lei, Mimmo, Gian e Ste. La trovò intenta a guardare Mimmo “Guarda come se lo ammira, guarda, quella troia” sussurrò. Ma le parole di Gian, come la sua volontà, erano così deboli che il vento subito le disintegrò.
In verità Gian aveva commesso un errore. Perché se era effettivamente vero che Luana guardava in direzione di Mimmo, il suo sguardo non era certo di ammirazione e, soprattutto, i suoi occhi non erano focalizzati su Mimmo. Giusto qualche metro oltre l’uomo era emerso dall’acqua un giovane corpo di femmina. I tatuaggi, la frangetta nera, gli occhiali da sole a farfalla. Ma Luana di Katia notò soprattutto una cosa: il sedere. E dopo aver visto quei glutei tonici che i riflessi dell’acqua rendevano ancora più mirabili, Luana ricordò che Mimmo giusto dieci minuti prima aveva rifiutato di fare il bagno con lei perché aveva mangiato pesante e poi l’acqua era fredda e ora invece eccolo immergersi e, di questo non era sicura ma lo poteva immaginare perché certe cose vanno così, sorridere nei confronti di Katia. Luana si accese una sigaretta. Aspirò due volte e la spiaccicò su un sasso con tutta la forza che aveva nelle dita.
“Chi è quella lì?”
“Chi?”
“Quella che era in acqua”
“Chi, quella? Non so”
“Non la conosci? Il culo lo conosci bene, mi pare”
“Ma che cosa stai a dire. Io ero andato a curiosare un po’ lo sconosciuto” Mimmo si sdraiò e diede la schiena a Luana.
“E poi perché cazzo una deve fare il bagno con gli occhiali da sole?”
Per tirarli su al momento opportuno pensò Mimmo, e mentre lo pensò sorrise perché se i raggi del sole non lo avevano tratto in inganno quel gesto era proprio per lui e poi per chi altro poteva essere, lì intorno non c’erano che lui e lo sconosciuto. Per lo sconosciuto forse? Tutta quella pantomima di alzarsi al momento giusto e mostrare il di dietro per quello lì? Ma va là.
“Ascolta Gigi, aspettiamo almeno la settimana prossima, ti prego”
“Che c’è, devi chiedere permesso alla stronzetta? Cosa vuoi che ti dica? Non lo vedi che è presa per il biondino?”
“Che cazzo dici?”
“Si, si vede lontano un miglio. Giulia è innamorata di quel coglione, dai”
“Non è vero Gigi, non è vero, smettila”
“Aaaah, allora lo vedi che sei geloso? Geloso di quella stupidella? Innamorato proprio! E allora a maggior ragione gliela dobbiamo far pagare a quello stronzo! È un piano perfetto, lo conciamo per le feste. È un tuo rivale, lo capisci o no?”
“Vaffanculo Gigi, sei uno stronzo. Sai cosa hai tu?”
“Cosa?”
“Tu, tu hai… ” Luca si guardò attorno, vide solamente il cane del fiume intento come suo solito a leccarsi i genitali “ecco, tu hai il cuore di un cane” concluse infine.
Il giovane Luca era quindi l’altro grande sconfitto dell’estate. La sua giovane e inesperta testa vagava tra l’amicizia per Gigi, l’amore per Giulia e la curiosità verso il biondino. Stare in mezzo a tutto ciò era il migliore viatico verso il fallimento. E tuttavia Luca non poteva fare a meno di niente. Il biondino era per lui fonte di ammirazione. Se ne stava per i fatti suoi, mentre loro erano sempre in gruppo. All’inizio Luca aveva reagito come gli altri: denigrandolo. E però presto aveva iniziato ad essere attratto da quella personalità fiera, orgogliosa, solitaria. Lontano dai giudizi, sicuro. Talvolta pensava che non sarebbe stato male essere suo amico. Questo però era inconciliabile con l’amicizia con Gigi, che Luca considerava sacra e inviolabile, sebbene si accorgesse che gli impediva di esprimersi come avrebbe voluto. E poi c’era Giulia che, non lo poteva negare, era attratta forse anche più di lui dal biondino, ma in una maniera differente. E quella maniera era anch’essa inconciliabile con il suo amore verso di lei.
Per tutto il pomeriggio Luca e Gigi non si parlarono più. Luca si mise a chiacchierare con Giulia e mentre chiacchieravano Giulia maneggiava con lo smartphone e sorrideva e aveva gli occhi belli, così belli che lui non li aveva mai visti e soprattutto non li aveva mai visti rivolti a lui e allora Luca fu preso da quella sensazione strana che aveva provato quella volta, qualche settimana addietro. E lo stomaco si strinse e sentì come di dover vomitare. Guardò il biondino e anche lui maneggiava il telefono e anche lui sorrideva e allora allungò un attimo il collo e vide che Giulia stava chattando su Instagram e non gli serviva nemmeno sapere con chi e forse non ne aveva nemmeno il tempo perché si alzò barcollando e gli parve di camminare sul ponte tibetano che avevano percorso in gita l’anno precedente. Tirò su la sua roba e scappò via. Giulia non si accorse di niente. Gigi invece si. Lo rincorse. Gli gridò di fermarsi, che sarebbero andati a casa insieme e che voleva fare la pace. Lo raggiunse che erano già alle biciclette.
“Ohi, ma che hai? C’hai una faccia! Ma stai bene? Ma ce l’hai con me per prima?” chiese Gigi trafelato.
“No. Anzi, ascoltami”
“Eh, dimmi”
“Quella cosa. Quella cosa che hai proposto di fare, ok? Ecco, la settimana prossima la facciamo. E vaffanculo”
Le gote arrossate di Gigi si gonfiarono in un radioso sorriso.
“Ci sono persone senza cuore, Ste”
“Dici? Tipo?”
“Tipo tanti. Persone che conosci, anche”
Ste allungò una mano verso la schiena del cane del fiume, che dormiva accanto a loro “E i cani? Secondo te ce l’hanno un cuore i cani?” chiese. Si rispose da solo “Si che ce l’hanno. Un cuore di cane. Da dire però sembra una cosa brutta, vero?”
Gian non lo stava ascoltando. Guardò lo sconosciuto raccogliere la sua roba e prendere la strada dei campi “Quell’uomo rimarrà sempre un mistero” commentò.
“L’altro giorno mi ha parlato, sai?” disse Ste voltandosi anch’esso verso l’uomo.
“Lui a te?”
“Lui a me”
“Ma allora a te parla”
“Parla, si. Devo dire che la cosa mi ha un po’ inquietato. Mi ha detto cose strane. Ho avuto come la sensazione che sapesse chi fossi, ma io davvero non riesco a capire…”
“Cose strane ti ha detto? Ma allora, ma allora tu…” Gian guardò davanti a sé in direzione delle rocce oltre il fiume. Il volto si aprì. Tra le rocce vide una luce. Ma non vi era alcuna luce. La luce erano quelle parole che aveva appena sentito. Ste, in una qualche maniera, aveva accesso allo sconosciuto e quindi indirettamente pure lui. Lo sconosciuto, parlare dello sconosciuto, raccontare dello sconosciuto. L’oggetto misterioso, l’oggetto della curiosità di tutti. Si vide intento a parlare a mo’ di Giulio Cesare mentre tutti pendevano dalla sua bocca. Una carta da giocare. Forse l’ultima del mazzo, forse poco più che un due di briscola. Eppure in quel momento quella carta era per lui la sola speranza per risollevare sé stesso, la sua estate. Il suo matrimonio.