L’agave, finalmente.
L’agave spezzato non si cura di Filippo e del vento. Riposa lungo disteso sulla crosta di sabbia, appena asciugata dal sole.
Il vento inclina i pensieri verso il passato, prima di gettarli tra le onde del mare.
Filippo pensa al Grande Luminare che la sera prima lo ha folgorato con le sue diagnosi, ma solo dopo averlo ricevuto con deferente e compassionevole professionalità.
– Abbiamo davanti un caso tipico, esemplare, paradigmatico. Giovane uomo, nel fiore degli anni, sorpreso da una male curabile, ma solo se preso in tempo e col verso giusto.
– Mi scusi l’azzardo, ma credo che stia riferendosi al mio tumore al cervello, se non sbaglio.
– Senza dubbio, caro Filippo. Proprio così. Ma focalizziamo il punto. Le sto dicendo che lei è un caso senza speranza.
– Capisco.
– Si presenta qui quando tutto è compromesso. Siamo a uno stadio troppo avanzato.
– Capisco.
– La struttura non accetta di curare casi come il suo. Le percentuali di successo sono troppo limitate. Siamo a caccia di percentuali più abbordabili, che tengano alta la media delle guarigioni. Per le statistiche. Ma può sempre rivolgersi a un’ospedale pubblico, se lo crede opportuno. Mi spiego?
– …
– Per quello che le posso dire, dopo aver maturato un’esperienza molto lunga con casi simili al suo, Filippo, sarebbe comunque tempo perso. Fatica e speranze sprecate.
Mi lasci formulare la questione in termini un po’ asciutti, non voglio sembrarle cinico.
Vale la pena strappare una decina di giorni al nostro destino, accanendosi con cure comunque fastidiose su un corpo già segnato col timbro della morte?
Forse soltanto per leggere un romanzo in più o rivedere la filmografia completa del proprio regista preferito, fosse anche Federico Fellini?
Si fidi di me, non ne vale la pena.
Ho visto troppa gente soffrire inutilmente nella speranza di guarire e con la certezza di stare per raggiungere l’ultimo capitolo, l’ultima pagina. Qui si tratta solo di chiudere il libro della vita con dignità e, se posso elevare il discorso su un piano filosofico, abbracciare il nulla che ci attende tutti, prima o poi.
Se non ha altro da chiedere, io la saluterei.
– Mi scusi.
– Sì, prego?
– Ma sono le statistiche per cui mi sono rivolto a voi quelle di cui parlava poco fa? Otto virgola quattro ricoverati su dieci guariscono nella vostra struttura.
– Sì, esattamente. Proprio quelle.
– Capisco.
– Cosa, prego?
– Il senso complessivo del nulla di cui mi sta parlando.
– Prego?
– No, mi scusi, dicevo per dire. Davvero non si preoccupi.
– Di cosa, Filippo? Sono a sua disposizione, si ricordi. Siamo a completa disposizione delle richieste di chiarimento. Abbiamo un servizio di assistenza psicologica per l’elaborazione del lutto. Le occorre? Chieda pure, le darò immediatamente i riferimenti telefonici per contattare il centro convenzionato. Si tratta di pagare un piccolo sovrapprezzo.
– Certo, immagino. No, dottore, è stato chiarissimo. Le assicuro. Nessun chiarimento ulteriore. Ho sbagliato le mie valutazioni. Non è la prima volta.
– Sì, ma rischia di essere una delle ultime, caro Filippo.
Abbia pazienza, ma rimango allibito dalla sua apparente indifferenza. Ha capito sul serio quello che le ho detto? Non vuole essere accompagnato da specialisti che l’aiutino a mettere nella giusta luce quello che le sta accadendo, in questo momento della sua vita? Potrebbe essere decisivo per la sua serenità, lo comprende?
– Dottore, scusi se mi permetto, ma credo di avere capito quanto basta. Grazie e tante cose belle a lei e famiglia.
Dalla scaletta dell’aereo fino alla spiaggia, ha calcolato i passi fatti, i minuti di percorso sull’autostrada, i secondi per ritrovarsi lì, una volta posteggiata l’auto.
Non è nemmeno trascorsa una ventina di minuti e avrà fatto un centinaio di passi in tutto.
Dall’alto, al momento dell’atterraggio sembrava di planare sulla cresta delle onde.
Ogni volta, ad ogni ritorno a casa, la stessa sensazione di attraversare una dimensione fuori dallo spazio e dal tempo.
Adesso, lo zaino gettato tre metri più in là e le Grandi Parole del Luminare che ancora volteggiano impigliate per qualche secondo tra le gocce sospese nell’aria e gli spruzzi leggeri.
Poco prima della partenza dalla Grande Città aveva pensato – Se il sole scende un po’ troppo veloce dietro l’orizzonte, stasera, dovrò salutare il giorno senza vedere la linea del molo ad arco di luna e questo, per me, sarebbe davvero terribile. E invece eccolo lì a salutare il sole declinante, da quella luna fatta di rocce rivoltate sull’acqua e modellate dal vento.
Chi avrà deciso e quando di gettare sul bordo della laguna questo disegno di rocce basse? Una freccia ricurva come il tempo, che si inarca per entrare nel ventre palpitante di questo lago marino.
Una domanda senza risposta che il disco solare a occidente illumina con tutto quello che rimane della sua vita.
Uno, cento, mille milioni di respiri, chissenefrega, pensa. L’attimo conta. L’attimo è l’unica eternità di cui disponiamo.
Adesso Filippo riposa seduto sul molo basso, intercettando appena l’orizzonte. Le palpebre inondate dalla luce vespertina hanno accorciato lo sguardo.
Filippo sente attraverso gli occhi il sapore intenso del sale e gli pare di annusare il soffio dei respiri mancanti che attraversano il vento.
Per un attimo l’universo intero si condensa nell’ombra dell’agave alle sue spalle e del suo fiore spezzato, lungo disteso sul margine delle saline.