Friends
Luglio, col bene che ti voglio… stai passando anche tu alla chetichella in quest’anno fantasma. Come sempre di sera, quando il caldo mi dà un po’ di tregua, mi lascio avvolgere da musica e ricordi. E vado a pescare tra le estati passate, lontane dalle fobie attuali ma cariche solo delle paranoie abituali.
Per un’ipocondriaca come me periodi come questo diventano la soglia della follia. Ma la follia, se ben indirizzata, diventa estro creativo. Mi consolo così, sono più pazza ma più brava, mi piace pensare. E ho avuto tanto tempo per studiare le mie passioni, musica, pittura e scrittura. Il primo ricordo estivo sudaticcio mi riporta al concerto del luglio scorso dei redivivi Tears for Fears che amo e seguo da trent’anni. Stavolta il mio compare musicale, anche lui trent’anni che mi sopporta, il mio amico E. (lascio la privacy e la suspence), ha modo di accompagnarmi. I rispettivi consorti e figli snobbano le nostre scelte, anzi sicuramente stanno pensando, con i soldi del biglietto sai quanto shopping ci veniva fuori. Ma noi, imperterriti, non ci curiam di loro da anni. Del resto ci fregiamo del titolo di primi fan italiani dei Cure all’epoca d’oro.
Ancora una volta me & E. ci imbarchiamo verso la musica. Mi viene a prendere e scendo sobriamente agghindata con maglia multicolor, borsa con la bandiera del Brasile, jeans neri con strass laterali e boots borchiati da guerriglia urbana; la criniera che ci accomunava, noi figli di Robert, non più scura ma striata. Anche E. ha la cresta, per il resto ha un look “normale”. Ma non fa una piega nell’accogliere in macchina questo clown starnazzante.
Dopo una sosta con pizza e birra raggiungiamo l’Auditorium, La Cavea, la mia preferita. Stracolma di gente emozionata, assortita, colorata, carica. Infatti devo fare pipì, e ricordarmi dove stanno i bagni. La vescica non è quella di una volta. Rifiuto ogni assistenza e vado. Li trovo, olè, quasi da subito. Tornata in postazione piccionaia, mi armo di telefono per le riprese ma quando li vedo apparire sul palco, penso solo a farmi ipnotizzare. Due fari meravigliosi, a sessant’anni e passa, voci e chitarre cristalline, una band pazzesca intorno, le luci e tutto; non posso dimenarmi e fare foto contemporaneamente, affido il compito al compare e seguo la voce dei miei miti. Si presentano, come se ce ne fosse bisogno, cercano anche di parlare in italiano. Sorridono, ringraziano e argomentano ogni canzone. Un pezzo della mia vita, ognuna di loro. Canto, ballo. sogno e sudo, tutto insieme. Sono in piedi sulla balconata, mezza ciucca di birra e innamorata, c’è il rischio di fare la Tosca, forse E. si preoccupa, ma si fa coinvolgere dalla mia pazzia e canta con me. Le sappiamo tutte, io ho solo più incoscienza e più voce, lui segue. La musica, e forse l’arte in genere, azzera tempo, paura e distanze, sempre. La musica è gioia perfetta. Basta guardare due sessantenni saltare sul palco. Viaggio meraviglioso, mi mancheranno “abbestia”, direbbero a Livorno, Kurt e Roland. Rientrati in macchina io ed E. attacchiamo la gara delle chiacchiere, siamo entrambi logorroici. Col sottofondo dell’opera omnia dei Genesis ci aggiorniamo sulle nostre vite lavorative e sui ragazzi, abbiamo figli quasi coetanei, ugualmente unici e viziati. I nostri piccoli re. Io passo dal riso al pianto con disinvoltura, i Genesis e i ricordi mi sciolgono il cuore ma non ho nessuna remora nel mostrarmi fragile. Che bello potersi fidare di qualcuno, come di E., e non temerne il giudizio. Advice For The Young At Heart, cantavano i due, del resto.
Il secondo ricordo riguarda un’estate ancora più antica alle Baleares, il luogo più vicino all’Eden, secondo me. Gita alla spiaggia nudista di Es Trenc. Guido il mio strampalato gruppo di compagni di viaggio, forte delle esperienze scolastiche e del mio proverbiale istinto viaggiatore. Come quando durante una visita culturale a Lucca mi persi con un’intera classe di prima liceo, perché affascinata dalle mura medievali. Ancora non regnava il cellulare, ci aveva recuperati l’autista del pullman, sant’uomo. Per farmi perdonare, mi era toccato promettere loro di portarli in discoteca, la sera. Ok, basta digressioni, torniamo in spiaggia. Es Trenc. Passeggiamo sulla battigia, piedi nudi nell’acqua chiara, piacere assoluto. Il gruppo è così composto, famigliola di nuovi ricchi partenopei, lui piccolo imprenditore con l’aria da padrone dell’universo, lei biondona volgarotta ovviamente più giovane, ovviamente seconda moglie, ovviamente truccata e pettinata con 40 gradi all’ombra, il mio alto e scenografico consorte ovviamente in conversazione con lei, i tre bimbi della coppia lamentosi e capricciosi, tanto che li avrei presi a sculacciate un giorno intero, io per mano a mio figlio bimbetto e galoppante e sottobraccio al dolce J., di Manila, elegantissimo e solare, (Bilancia, del resto) seguiti a ruota dal suo compagno italiano, piuttosto ombroso e scostante, invece. Intorno a noi, in acqua e al sole, persone piuttosto grandi, nude, e piuttosto felici. A un certo punto ci imbattiamo in un anziano pescatore coi piedi in acqua e l’espressione assorta. Per non rovinargli la concentrazione faccio un segno brusco al gruppo di chiudere il becco. Lui sorride grato e si sposta per farci passare. Ma prima mi rivolge uno sguardo turchino e una domanda. È nudo anche lui. Agli altri uomini non desta preoccupazioni, è solo un vecchio. I bambini sono sereni. Fa finta di imbarazzarsi solo la biondona miss Posillipo. Il pescatore mi parla, io non capisco bene, guardo disperata J., che da filippino conosce lo spagnolo. Ti sta dicendo che bel bambino sorridente. E vuole sapere se è figlio nostro, secondo lui ha i miei occhi – ridacchia. Ma no, spiegagli che siamo solo amici – J. esegue e poi mi dice: Sai cosa ha risposto? I figli degli amici sono i più felici.