Il fiume – IV – Col du Tourmalet
“Tu che spiegazione ti sei dato?”
“Non lo so, non lo so mica, Ste. Prima ho provato ad andarci a parlare. Intendo prima quando te non eri ancora arrivato e c’erano giusto loro due e quei ragazzotti di vent’anni lì. Manco quelli più giovani c’erano ancora. Dopo il tempo che ha fatto questi giorni, del resto, credevo di esserci solo che io. Invece eccoli lì quei due. Stesso sasso, stessa roba di tutti questi giorni.”
“E?”
“E cosa?”
“E che gli hai detto Mimmo?”
“E cosa vuoi che gli ho detto, le solite cose che si dicono. Dei temporali gli ho detto. E poi due o tre domande aperte tipo quelle che fai alle fighe per farle parlare un po'”
“Ma?”
“Ma con le fighe devo dire che vien tutto più facile”
Ste sorrise, appoggiò il mento su un ginocchio. Aveva appena visto una tappa del Tour de France. Con l’indice disegnò sulla sabbia una montagna che nella sua testa voleva simboleggiare il Col du Tourmalet “E quindi due di picche” disse.
“Si, cazzo. E quindi pari pari a Gian un paio di settimane fa. Manco girato si è. E manco il ragazzino. Un paio di risposte che… hai presente?”
“Che ti vien da sudare e tagliare la corda”
“Si, così”
“Si, Mimmo. Ma perché?”
“E che ne so. Ti ho detto che non so perché fa così”
“No. Mimmo. Perché ti frega di saper di quel cristiano e di suo figlio, sempre che sia suo figlio da quello che mi hai raccontato. Non danno fastidio a nessuno, vogliono solamente stare un po’ in pace. Perché vi frega a tutti di questa storia?” e così dicendo, Ste, accanto al Col du Tourmalet rappresentò tutta la catena dei Pirenei in una rapida successione di onde sulla sabbia.
La seconda settimana di luglio era piovuto per tre giorni consecutivi. Le temperature si erano abbassate e il livello dell’acqua alzato di alcuni centimetri. Il sabato il sole si presentò solamente nel pomeriggio. Il fiume aveva risentito delle giornate di burrasca ben al di là della maggiore portata d’acqua: la corrente si era fatta più decisa, il colore torbido e un solo piede a contatto con l’acqua aveva fatto dissuadere i pochi astanti da ogni ipotesi balneare.
Talvolta, scendendo dalla gola a monte, un alito di vento si appoggiava sulle schiene dei pochi presenti senza farsi per nulla apprezzare. I ragazzi più giovani giocavano con i telefoni e urlavano parole triviali che poco si confacevano ai toni alti e insicuri delle ancor fresche corde vocali. Luca sedeva in disparte e morsicava il colletto della maglietta nera che si era tenuto addosso. Più che la sua compagnia, ad attrarre i suoi occhi marroni erano i gesti del ragazzino biondino. Quando si scoprì a imitare il suo lancio di sassi, cercò in tutta fretta il telefono e si avvicinò ai ragazzi della sua compagnia. Il biondino, seduto in riva al fiume accanto all’uomo sconosciuto, ogni tanto si voltava verso i campi e il sentiero che giungeva al fiume a cercare una sagoma in arrivo.
Prese un sasso rosso e lo usò per scrivere una lettera su un altro sasso. Poi gettò entrambe le pietre in acqua e ansimò torcendosi un lungo ciuffo biondo.
Mimmo sbloccò il suo smartphone e si ritrovò a tutto schermo un giovane sedere immortalato una mezzora prima e non archiviato a dovere. Come il fiume, visto da monte, pare immergersi tra rigogliose colline, ivi un costume di stoffa blu finiva per perdersi tra due gaudenti natiche. Le guance di Mimmo si fecero rosse, pigiò freneticamente il tasto centrale del telefono e vagò con lo sguardo tra l’inconsapevole modella del gruppo dei ventenni seduti a una ventina di metri da lui e Stefano. Per un attimo Mimmo credette che l’amico potesse aver visto e capito. Si sentì in dovere di riaprire la conversazione.
“Il lavoro come butta Ste?”
“Il solito, Mimmo, il solito”
“Tutto bene quindi?”
“Tutto bene.”
Mimmo osservò i capelli lunghi e bisognosi di un pettine, gli occhiali rotondi e la barba lunga e ispida di Ste. Naso arrossato su pelle bianca e pelo nero. Poi lanciò un’occhiata al sedere contornato di stoffa blu che era tornato a fare capolino tra le teste di un paio di rollatori di canne.
“Tu non ti stufi mai di niente Ste” disse infine.
“Io non mi stufo mai di niente?”
“No. Non ti stufi della tua compagna, non ti stufi di casa tua, non ti stufi del tuo lavoro. Non ti stufi di niente.”
“Mi pare un discorso un po’ così. Buttato là, diciamo.”
“Può essere, ma è così per davvero”
“E se anche fosse, perché me le dici come fossero cose non buone?”
“Tu sembri voler tenere la strada maestra ed essere felice così, ma io non ti credo.”
“Ripeto: perché dovrebbe essere una cosa negativa non stufarsi delle cose?”
“Perché non è normale, perché siamo umani. E io ti conosco. Non sei poi così diverso dagli altri. Da me”
Mimmo si mise a fare ghirigori vicino al Tourmalet e ai Pirenei vergati dall’indice di Stefano.
“Tu parli a vanvera di cose che non conosci. Che non ti interessa di conoscere. Ad ogni modo: che c’è Mimmo?” disse Stefano mentre controllava che le sue altimetrie pirenaiche non venissero spazzate via dall’ansioso aratro dell’amico.
“Niente. Niente, non ti preoccupare. Era un discorso così tanto per farlo”
“Ti senti ancora con Elisa, Mimmo?”
“Non lo so”
“Quindi no”
“Non no. Ho detto non lo so. Hai mai tradito Ste?”
“No, non mi risulta. Forse una volta, al tempo delle limonate. Ad ogni modo…”
“Il fatto è che ti manca il coraggio. Con la mente hai tradito eccome. Più di me magari”
Ste sollevò le braccia e sbuffò “Ma via ma che discorsi sono?”
“Che c’è, ti danno noia questi discorsi?” Mimmo sorrise, guardò le rocce oltre il fiume per qualche secondo e quindi ricominciò “Vedi, quando tradisci la tua compagna, la tua fidanzata, tua moglie, ti aspetti di essere assalito dal senso di colpa. Ecco, in verità poi questo non succede, perché se succedesse, se davvero ti sentissi in colpa poi la pianteresti lì una volta per tutte. E invece no, tu ci provi anche a dire: sei una merda! davanti allo specchio, ma non succede niente. Almeno, non così, non a comando. Ora ti racconto questa cosa strana che mi è successa. Ti spiego. Con Elisa ci sono stato per un po’ di tempo, lo sai. Solo che poi ho iniziato a perdere interesse, o forse avevo bisogno di qualcosa di altro. Non so come spiegarti, queste cose vanno così. Ma non è questo il fatto. Ho conosciuto questa barista, sulla quarantina e separata, bel milfone. Bene, ci vado a letto, e mi trovo anche bene. Senso di colpa nei confronti di Elisa: zero. Anzi, mi sale una gran fotta di fare il bis. Una sera alla barista gli scrivo e gli dico: dai vieni da me. E lei mi fa: Ok. Poi mi scrive: però devo portare il cane, non so a chi lasciarlo e da solo non ci sta, è vecchio. Ecco, allora gli ho detto no, il cane a casa mia no. Punto. Gli ho detto che i peli in casa non li volevo, ma non era mica vero. Capirai, ho fatto ben di peggio per una trombata.” Mimmo fece una pausa e si guardò le mani “E sai la verità invece? La verità è che Elisa aveva anche lei un cane. E a me si è stampata in testa questa immagine: Buck, il cane di Elisa. L’ho visto scodinzolarmi allegro attorno, cercare le mie coccole. Il cane di Elisa a casa mia non era mai entrato. E mi sono chiesto: Buck qui in casa non te lo sei mai preso e questo della milfona lo porti dentro casa giusto per una trombata? No, non mi pareva proprio giusto. E allora mi sono sentito una merda e ho chiuso tutto. Tutto. Mai più sentito la milfona del bar. Per un cane, ti rendi conto? Mi sono sentito in colpa per un cane e non per Elisa!”
Ste sorrise. Si rollò una sigaretta. “Si, non male queste vie traverse della vita. A volte mi chiedo cosa posso trovarci in una persona come te. Che ho io da spartire con te. E invece, eccomi” disse. E sorrise di nuovo.
“Potrei risponderti così: io ti illustro il lato oscuro della vita. Quello che a te piace osservare tra le dita di una mano. E giudicare. Ah, quanto ti piace gudicare, sbaglio?” disse Mimmo.
“Può essere” Stefano fece una pausa “Anche se a me pare sia tu oggi a giudicare me. E tua figlia?”
“Mia figlia?”
“Si, tua figlia”
“Che c’entra mia figlia?”
“Non credo ti faccia bene non parlare mai con nessuno di questo”
“Lascia stare, me la sbrigo da solo”
“Sarà. Va bene, allora parliamo del casino che stai facendo con Luana e Gian”
“Ok, mister equilibrio. Ottimo contropiede, niente da dire. Credo sia arrivata l’ora per me di rincasare.”
“Ho come l’impressione che quando si parla di qualsiasi cosa che riguardi il passato tu te la dia sempre a gambe levate. Che ti ha fatto il passato?” chiese Ste. Come risposta ebbe il dito medio della mano destra.
Stefano osservò Mimmo allontanarsi. A metà strada tra il fiume e i campi dove stava l’imbocco del sentiero che portava all’acqua lo vide incrociare il cane del fiume. I due non si degnarono di uno sguardo. Trotterellando tra i sassi la macchia nera si portò davanti a Ste. Era da sempre l’unica persona che il cane del fiume pareva avere in simpatia. Giusto quell’estate si era aggiunto il ragazzino biondo. E così Ste iniziò a parlare con il cane, come già gli era successo. Il cane, del resto, pareva ascoltare e soprattutto non ribatteva. Non era cosa da poco per chi come lui era abituato ad ascoltare più che a raccontare.
“Ehi” fece Stefano allungando una mano sulla testa del cane “dove eri finito oggi? Eri per cagne come quel tipo che hai appena incrociato?” Guardò la mano che aveva toccato il cane. Fece una smorfia di disgusto. Poi continuò a parlare “Vieni che ti spiego una cosa. Allora, quello lì che vive come fosse su un ottovolante pensa che io sia una linea piatta. Dice che me ne sto su una strada maestra e non giro mai a destra e sinistra. Vedi, cane, io penso che le strade come le intende lui non esistono. Tutti percorriamo delle strade contorte. Chi come lui sbanda a destra e sinistra è forse più vistoso, ma ci sono anche quelli che nella vita devono percorrere salite e discese. Alcune salite sono poco più che cavalcavia. Altre invece sono dure, ma dure per davvero. Come il Col du Tourmalet, una salita nei Pirenei che fanno spesso al Tour de France. Sai quante volte l’ho dovuto scalare il Tourmalet? Lo conosci il Col du Tourmalet cane? C’avete un Tour de càn da guardare a luglio voialtri?”
“Lui non credo proprio lo conosca. Io si. C’ho passato la vita intera a scalare i Pirenei e anche le Alpi. Ma le dirò, la discesa è anche peggio. La discesa talvolta pare non aver mai fine. Di questo credo lei abbia meno esperienza”
Ste si voltò di scatto ed emise un gemito di stupore. Anche il cane fu colto alla sprovvista e le zampe scivolarono sui sassi.
“Mi scusi, non volevo disturbarla. E non volevo nemmeno farmi i fatti suoi. Ma lei si trovava a monte rispetto a me e il vento mi ha portato le sue parole mentre ci avvicinavamo per andare verso casa. Credo che lei abbia ragione, comunque. Magari lei l’ha buttata lì così. Si buttano lì tante cose. E quante cose si fanno senza rendersi conto delle conseguenze. E’ una bella frase, ad ogni modo. Se me lo permette, me la segnerò. Mi scusi ancora, buona serata”
L’uomo sconosciuto si diresse verso l’imbocco del sentiero. Il ragazzino biondo, al suo fianco, si girò più volte per salutare il cane con la mano. Stefano con la bocca ancora spalancata e il cane seguirono le loro schiene lambite da un sole ormai stanco. Presto sarebbe tramontato oltre le rocce di là dall’acqua e anche oltre il Col du Tourmalet.