Letargo in quattro quarti – 5° classificato Premio Patti 2020
Racconto breve di Cinzia Di Pasquale, classificatosi quinto al Premio Patti 2020.
Primo Movimento – Grave
Poltrona, divano, sedia, telecomando, giretto per le stanze.
Attesa.
La ricerca sottaciuta di un senso che si riveli al mio presente, al mio qui ed ora irrinunciabile.
Apro il frigorifero, avanzi di parmigiana, no non ho fame, li mangerò più tardi.
Attesa.
Poltrona, poggiapiedi, libro, notebook, telecomando, telefonino. C’è tutto. Posso cominciare.
Cerco una risposta accendendo la tv.
Avverto un senso di stanchezza improbabile, sono solo le nove di mattina. La forma delle cose che
modella il mio tempo d’improvviso appare ribaltata. Programmata per una routine, oggi sono senza
energie pur non avendone impiegato neppure un joule.
Che strano.
Dov’è finita l’idea che un giorno, potendo stare a casa ad oltranza, avrei avuto il tempo per riposare,
scrivere, inventare, svolgere attività gratificanti, le stesse a cui sempre ho dovuto rinunciare per via
di impegni quotidiani, assillanti, risucchianti, con i quali faccio i conti da tutta una vita.
Attesa.
Una telefonata (finalmente).
Le chiacchiere cadono in uno spazio surreale, scandito dalla rimodulazione di passi e pensieri che
devono stare dentro un appartamento.
Una sensazione di “prigionia” che non avevo conosciuto prima.
La gabbia più asfittica tra le due è quella che reclude la mia mente.
Il corpo no, non lo sento vincolato. Sovvertita, in un paio d’ore, la convinzione che se il corpo può
soffrire della privazione di ampi spazi di movimento, la mente invece no.
I pensieri, quelli sono liberi di volare via anche se resti legato in un letto.
Per me è l’esatto opposto, sento catene bloccare il flusso della mia immaginazione.
Che mi succede?
Attesa.
Decido di lasciar perdere, mi cullo nello spazio vuoto, senza chiedere nulla in cambio.
Decido.
Secondo Movimento – Allegretto
Sono libera, posso fare un sacco di cose. Rido del paradosso della mia affermazione. L’ironia mi
salva? Guardo il cielo, osservo le piante del piccolo giardino che circonda la mia casa, apro il
frigorifero.
Ancora attesa.
Questa volta non la temo. E’ domenica e, si sa, la domenica è un giorno di riposo lungo, un giorno
di ozio televisivo, di letture, di piccole faccende domestiche, di dettagli, di fantasia ai fornelli, e chi
se ne frega!
Ne ho abbastanza per non perdermi d’animo.
La piccola lavanderia andrebbe riordinata, a furia di rimandare si è accumulato un tale disordine, in
un flash visualizzo gli scatoloni affastellati l’uno sull’altro grazie all’alibi del rinvio, il mio alleato
preferito. Potrei darmi da fare, quale migliore occasione.
Lo penso, ma resto immobile a guardare la porta a vetri del ripostiglio stracolmo.
Attesa.
La voce squillante della vicina mi distrae dallo sguardo lungo e appassionato che non ho smesso di
riservare alla porta. Protesa dal balcone mi sta avvisando di un calzino caduto giù, mi chiede di
aiutarla a recuperarlo. Eseguo. Tre gradini, raccolgo il calzino, lo consegno alla legittima
proprietaria riponendolo sul cestino che ha lasciato penzolare da un filo.
Non ho più scuse, la lavanderia è a un passo da me, apro la porta ed è fatta, ecco la mia domenica!
A ben guardare non c’è poi tutta sta roba da riordinare. Riorganizzare gli spazi, casomai, quello sì.
Soprattutto si tratta di carte. Quaderni, carpette, buste, raccoglitori e tanti, tantissimi utensili per il
fai da te. Chiavi di ogni genere, pinze, martelli, e tanti altri oggetti che ancora non so a cosa possano
servire.
Decido.
Carte dunque, comincerò da quelle.
Non ho molto tempo per selezionare la carta straccia da tutto il resto, mi tocca leggere foglio per
foglio per capire di cosa si tratti. Molte pagine manoscritte, altre battute a macchina e un’infinità di
fotocopie. E’ tanta roba, questione di tempo.
Pesco a caso un foglietto e comincio a leggere.
“Cosa ho allora io da dire? E so io fare qualcosa? La confusione è la mia unica e fedele passione;
essa domina tutti i miei comportamenti in quanto è capace di assalirmi in qualsiasi momento e in
qualsiasi situazione. Tuttavia io sono vivo, espleto le mie funzioni fisiologiche senza arricchire di
un granché le mie sapienze, aumentando solo e costantemente le mie elucubrazioni mentali. Tutto
ciò è vomitevole”.
Non so immaginare chi possa avere scritto queste righe, le prime capitate sotto i miei occhi, la
grafia non mi aiuta né la mezza pagina a quadretti su cui sono state scritte. Stento a crederci, rileggo
a voce alta. Trascinata via dalla loro potenza adesiva con il mio stato d’animo, rimango non so per
quanto tempo a fissarle. Un transito fulmineo: la confusione è la mia unica e fedele passione. Che
meraviglia! La libertà di godere di un tempo confuso e straordinario, dove niente prende forma,
dove si scardinano tutti i parametri del fare, dove lo spazio della domenica diventa un contenitore
ripetibile di niente.
Vago perduta, finalmente. Cosa mi potrà succedere?
Terzo Movimento – Moderato
Io e i fogli di carta che dovrei buttare…non ne sono più così sicura.
Leggo ancora.
“Sorella mia, ho portato un gran fardello per venti anni e ora che sto quasi bene e capisco le mie
pene, penso a me, ai miei sogni di ragazzo, all’amore che non ho più. Non l’ho scordata, certe volte
la penso, certe volte mi accorgo che la amo, perché nel mio cuore duro ho bisogno di qualcuno che
mi faccia compagnia, perché ho ancora desiderio d’amare, lo sai”.
Non ho più alcuna voglia di catalogare, censire, selezionare, preferisco tirare a sorte infilando il
braccio fino al fondo del contenitore e pescare ancora, a casaccio, da quello che mi sembra sempre
più un cappello dal quale tirar fuori emozioni.
Mi sento svagata, euforica, impaziente. Non ho nessuna percezione dei rumori di fondo, niente può
turbare la mia condizione, la costrizione della reclusione forzata la sento lontana.
Voglio restare tra le frasi di questi frammenti, viaggiare dentro le parole, voglio che continuino a
risuonare nella mia testa senza più riporle, senza l’obbligo di riservare loro un posto ordinato.
La passione per la confusione mi ha conquistata e ora so cosa fare.
Mi chiedo se sono io la sorella di cui leggo, pronta solo ora a raccogliere le confidenze di un fratello
lontano, arrivata sin qui per custodire ciò che resta della memoria ingannata di una promessa
infranta.
Quarto Movimento – Vivace
Ritorno.
“Bisogna accettare che il corpo e la mente, in quanto fisici, sono soggetti ad errori delle più
svariate specie, così esisterà sempre un nuovo limite da superare, una nuova terra da arare,
seminare nuove scoperte. L’attuazione pratica dei nostri ideali è la realizzazione del sé. Quindi sii
sempre coerente con i tuoi ideali e accetta i tuoi errori come stimolo per migliorare la tua unità.
Non accettando i miei difetti avrò sempre quella sgradevole sensazione da superare, emozione
questa che ostruisce il passaggio…”.
Una parte illeggibile e poi il frammento riprende così:
“E’ chiaro come il sole che ogni cuore ha una sua particolare chiave, credo che nel mio caso basti
stare sempre calmo e accondiscendere al mio istinto, si può estrarre la chiave sbagliata, ma si può
riprendere il mazzo di chiavi in mano, scegliere stavolta quella giusta; cominciare a girarla nella
toppa significa avere già capito il meccanismo. Non importa quante porte si incontreranno dopo, le
altre porte non le vedremo mai se non dopo la prima. Ma dal buco della serratura si intravede già
la luce. La semina è appena cominciata, arriverà anche il tempo per l’irrigazione.”
Ancora parole intonate col mio stato d’animo, ancora risposte svelate con la semplicità di una
riflessione autentica, rischiarata dalle prime luci dell’alba, addolcita dal profumo della resina che
gocciola dai pini, nello spiazzo desolato davanti casa una sdraio vecchia, malmessa, unica traccia di
vita umana, accanto il glicine sfiorito che ospita ancora qualche calabrone di passaggio, e tutto
intorno silenzio.
E se avessimo bisogno di andare in letargo?
In un libro illustrato letto da bambina c’era un orso. Camminava goffo, lentamente si dirigeva verso
la tana che aveva scelto mesi prima, quando i raggi del sole lo invitavano ancora a pescare salmoni
sulla superficie del torrente fresco, a tratti impetuoso, dentro il quale aveva mosso i primi passi sin
da cucciolo. Ora era forte e solitario, era un orso che stava andando in letargo.
Eccola lì nella sua semplicità la chiave che gira bene nella toppa arrugginita.
Poltrona, divano, sedia, telecomando, telefonino, giretto per le stanze.
Attesa.
Mi sembra di poter scandire il mio tempo, riempirlo o lasciarlo lì, libero di invadermi o di
osservarmi.
Prendo il cellulare, compongo il numero che ancora ricordo, tre sei zero, due otto zero, sei nove sei
cinque, risponde una voce metallica.
Attenzione il numero selezionato è inesistente o irrangiung… non importa, mi ascolterai lo stesso:
Mienza, arristavu mienza
Attaccata mani e pieri ma sempri mienza
Mienza comu un super santos tagghiatu
Mienza comu ‘na mennula spaccata
Mienza comu ‘na ‘uccia r’acqua ca t’a addisii quannu sì arsu ri siti
Ma mienza ‘uccia r’acqua ‘un t’abbasta
Mienza ‘uccia r’acqua unnè buona mancu pi’ ‘na liccata
Mienza r’un tuffu
Mienza r’un’arrustuta
Mienza r’una manciata
Mienza r’una cantata
Talè a du picciriddu, sta satannu r’u balcuni
Talè!, talè!
Chi fa’?, hai a càriri? Accura!, statt’accura, piccirè!
No, no nun cari; addabbanna ci n’è mienzu
L’avutra mienza sugno io e sugnu cà
‘Un po’ cariri mienzu.