Il rumore delle stelle
Cosa nascondeva Sarah?
Camminava, camminava, camminava testa in alto e busto eretto, come se la punta del suo naso volesse strofinare le labbra di chi incontrava per strada per annusarne il soffio.
Via Rayuela, via Barone Rampante, Via Civetta, Via Dona Flor, via, via, via… Camminava, camminava. La piazza Dorian, il mare.
Lei sapeva cosa nascondevano quelle nuvole rosse di inizio estate che erano luce di fuoco e di cenere!
Lo sapeva per le parole non dette quando, in quel tempo sospeso tra la notte e il giorno, ogni cosa pareva stare ferma, appesa. Per lei sarebbe stato giusto contrastare le contraddizioni dell’incerto con la forza dei precetti capaci di governare la felicità di tutti gli uomini, se solo ne avesse avuto la forza!
Lei nell’intimo sapeva cosa nascondeva la città durante la notte; lì, ai lati dei viali quasi bui, alle spalle dei vicoli stretti stretti tra umide balate e palazzi raschiati di calce e azolo, lei sapeva a memoria, nota dopo nota, la melodia ricamata con il filo dei segreti che tra le tenebre accompagnava il cammino degli uomini.
Sarah sapeva cosa nascondevano le brezze di mare che scompigliavano di notte i suoi sogni, la consolava sapere che da lì a poco, finita l’estate, prima dell’alba, l’aria umida e qualche goccia di pioggia avrebbero rimesso in ordine le cose, allineato il tempo, il giorno e la notte, conformando la luce e il buio alla necessità della realtà.
Sarah sapeva. Forse a causa di quel tempo sprecato, di quei giorni dispersi, per quei momenti trascorsi a ricomporre, una ad una, le fratture del corpo quando nella sua stanzetta origliava la tragedia gridata dei suoi genitori, lenita dal conforto di prodigiosi eroi che la sera s’intrufolavano dalla finestra per poi alle prime luci dell’alba sparire nel giardino di limoni.
Sarah conosceva cosa occultavano gli ingranaggi degli elementi che condizionavano il pulsare del sangue. Ormai quieta, ma non rassegnata, amministrava da anni il suo piccolo mondo con un’armatura di latta scintillante di coraggio e di generosità.
Dal mare arrivava e ripartiva, risaliva Via Montale, la Stazione di Atacama e poi prendere la discesa per Viale Bube. Camminava rapida Sarah! Alle otto e trenta, puntuale, varcava il portone dell’Università.
L’Università era il circolo dei desideri, si andava con calma, senza fretta, pronti ad affrontare il viaggio dei doveri. L’ultimo anno di Lettere, poco più di una ventina di studenti ancora resisteva tra quelle calde sottili pareti, quello fu il tempo riempito di sogni e di fantasie.
Lì, Alfredo Dolfuss incontrò Sarah per la prima volta. Ne rimase affascinato, sedotto e proprio per questo motivo non le rivolse mai la parola. Invero, bucando il suo ristretto gruppo di amici, più di una volta (solo due volte), le chiese di scambiare gli appunti di letteratura francese.
“Posso chiederti di fotocopiare i tuoi appunti di ieri?”
“Certo. Tieni. Me li restituisci domani, adesso scappo…”
Nobile di origine tedesca, Alfredo della Baviera non sapeva nulla o quasi, gli fu raccontato di un bisnonno Conte, Oscar Dolfuss, scappato in Sicilia da Augusta di Baviera senza un soldo, ma con un paio di baffi bianchi enormi e una copia sfrangiata dei Masnadieri di Schiller. Alfredo era cresciuto protetto dal calore della famiglia e convinto che il bisavolo Oscar fosse un rivoluzionario, giacché qualche parente aveva raccontato del bisnonno qualche aneddoto rivelando il suo carattere ostinato e ribelle verso i nobili parenti, ma soprattutto verso l’autorità statale.
Alfredo era convinto che l’avo avesse scelto l’esilio per ragioni di sopravvivenza in quanto anarchico e antimperialista, insomma per salvarsi la pelle. Così raccontava Alfredo del suo bisnonno ai suoi amici.
Camminava, camminava Sarah, ascoltando lo spettegolare dei suoi desideri, piccoli peccati custoditi nella sua mente, ma quel mormorio per lei era una litania insopportabile, quel brusio accelerava il fluire dei nervi e questi, come assettati di libidine, avrebbero preteso di fuggire dal corpo, lanciarsi addosso alla gente, vivere di vita propria, scattare in piedi, mischiarsi agli uomini, aggrapparsi stretti al collo dei giovani e con loro salire la scalinata del Teatro Antico e recitare qualche sonetto di Shakespeare, “Alle meraviglie del creato noi chiediam progenie perché mai si estingua la rosa di bellezza…”, o cantare di Butterfly la romanza, “Dolce notte! Quante stelle! Non le vidi mai sì belle! Trema, brilla ogni favilla col baglior d’una pupilla…”
Vignettista autodidatta, Alfredo disegnava strisce per una rivista torinese, storie fantastiche e racconti illustrati molto di tendenza tra i giovani. Il suo personaggio era un eroe dalla doppia identità: di giorno professore di poetica romantica presso l’Università della città, la notte giustiziere con super-poteri, lo rappresentava con maglia nera e mantello rosso. RazatroC, il nome dell’eroe, lottava contro le ingiustizie e gli autoritarismi. Insomma, un Robin Hood vestito da Batman.
Inutile dire che le storie finivano sempre con la conquista amorosa di una giovane vittima liberata dai cattivi. Con i soldi ricavati dalla vendita delle strisce, comprava libri, colori e fumetti, ammirava i disegni di Manara e di Hugo Pratt le storie di Corto Maltese.
Avrebbe voluto, Alfredo, brillare della stessa luce di Sarah, illuminare di raggi di sole lo sguardo di lei, leccare la sua pelle, scompigliare i suoi capelli per poi custodirli tra le mani, nuotare nei suoi pensieri, tutto questo desiderava di Sarah. Ma la timidezza non aiutava Alfredo, neanche il suo Eroe sarebbe riuscito nell’impresa.
Qualche mese dopo il diploma di laurea, dopo la festa, dopo gli abbracci, dopo il rito dello scambio di promesse, Alfredo riuscì, grazie ad un amico, con grande felicità a segnare nella rubrica il contatto di Sarah: 339 454 7697. Mai ebbe il coraggio di contattarla. Avrebbe potuto, sarebbe stato facile scriverle: SPERO TU STIA BENE, oppure COME VA, o PERCHÉ NON CI INCONTRIAMO PER UN APERITIVO?… Nulla, non le scrisse mai. Alfredo rimandava sempre al giorno successivo e i mesi passavano.
Incontrò, per caso, Sarah nel 2018, al Molo 2666 sul litorale marittimo dei pescatori. Era il posto più tranquillo della città, lì Alfredo disegnava e costruiva le sue storie fantastiche. Quel giorno, era quasi estate, la brace della terza sigaretta bruciava rapida sotto il vento di libeccio. Disegnava la nuova storia e stavolta l’eroe doveva salvare la bella Isabel, tenuta prigioniera nella foresta dentro una buca profonda quindici metri. La matita anche quel giorno andava veloce, rapida, sicura. I tratti della giovane Isabel correvano decisi sul foglio, linee e contorni imparati a memoria, uguali a…
Un tocco sulla spalla, un profumo di rose, un sorriso che dondolava mischiato allo sciabordio del mare.
Ciao Alfredo. Che bello ritrovarti!
Ciao. Che bel…
Lei raccontò di lei. In sintesi Alfredo annotò di Sarah:
aveva molta fiducia nelle combinazioni astrali, amava le crostate di mele; aveva letto tutta la Recherche di Proust; credeva nella ginnastica salutistica del Tai Chi; amava il teatro, Capossela e il Quartetto Cetra. Forse è innamorata di me.
Lui raccontò di lui. In sintesi Sarah annotò di Alfredo:
non credeva nelle combinazioni astrali; fumava troppo; era dolce e gentile, come un cavaliere d’altri tempi; amava la letteratura latino-americana e Majakovskij; ascoltava Mahler, De André e i Deep Purple; amava la pallavolo e la cioccolata. Forse è innamorato di me.
Poi buio. Sera. Notte. Una buonanotte.
Seppero allora del fremito e della leggerezza che talvolta l’allegria regala agli innocenti. E senza far rumore le loro anime iniziarono a danzare al ritmo di un blues, sotto lo sguardo annoiato di una lucertola.
Quella notte le stelle non fecero rumore.