La musica delle sfere – Menzione Premio Patti 2020
Che un paraplegico sia giunto a prendersi cura di una delle menti più agili del nostro tempo ha
stupito in molti, nella Città della pace. Alcuni, lingue di serpente, mormoravano che il grande Abu
Yūsuf Al-Kindi, filosofo tra i filosofi, fosse stato stregato. Adesso tacciono, ci hanno dimenticati.
La sera, quando il fresco cala sulla grande città di Bagdad, il mio maestro ed io ci sediamo a
guardare le stelle. È l’ora in cui dal bazar sale il rumore dei negozianti che chiudono le loro
botteghe e in cui il muezzin chiama alla preghiera. Il mio maestro però non si muove. Le mani
restano sul grembo, inerti. Nel suo sguardo, un tempo pieno di vita, l’unica luce rimasta è il riflesso
delle stelle. E allora io prego anche per lui. Prego che il Misericordioso possa perdonargli il suo
terribile peccato o, almeno, farglielo dimenticare. Sia fatta la Sua volontà.
Questa è la sua storia.
Venne a prendermi quando ancora regnava il califfo al-Whatiq. Voleva usare la musica per curare le
mie gambe, la mia famiglia fu felice di liberarsi di me. Di loro non seppi più nulla. Per quasi
trent’anni ho vissuto nel suo studio; col tempo ho imparato a muovermi in questa grande stanza
piena di cristalli e lenti colorate, dove pesanti volumi rilegati in vello dai regni degli infedeli ad
Occidente si mescolavano ad antichi rotoli di papiro dall’Egitto e a testi vergati su foglie di palma
dell’isola di Taprobane. Su certe pagine lingue sconosciute e alfabeti crittografati si confondevano e
brulicavano come insetti, mentre altri libri erano coperti da una serie infinita di punti, linee e
poligoni, arcani disegni che non avrei capito mai. Il mio maestro possedeva anche molti strumenti
musicali: corde, fiati e percussioni, ma di questi l’ud era il suo prediletto. È qui che mi insegnò a
leggere e scrivere, che mi permise di aiutarlo nel suo lavoro. Sempre qui che, quando la notte
portava ristoro dall’afa del giorno, il maestro cantava e suonava l’ud per me. Erano tempi felici.
Solo dopo le stelle cominciarono ad ossessionarlo. Successe in seguito alla sua disgrazia, quando il
califfo Al-Mutawakkil bruciò la sua biblioteca. A corte pensarono che Al-Kindi si disinteressasse
delle cose terrene, che per non rischiare altre accuse di eresia avesse deciso di occuparsi di
argomenti innocui. Si sbagliavano. Iniziò a vegliare le notti e a dormire di giorno. Voleva provare le
sue teorie e tornare nelle grazie del califfo, dimostrare ai suoi calunniatori che il Sublime è
direttamente conoscibile dalla mente umana. Ma per questo la filosofia non gli bastava più. Gli
serviva la conoscenza divina, quella che solo ai Profeti era stata concessa. Dove cercarla gli apparve
chiaro fin dall’inizio: come gli astri illuminano le tenebre del cielo notturno, così il Glorioso
illumina la nostra vita. Era dunque negli astri che avrebbe cercato la Sua luce.
Passava molto tempo a studiare i libri di certi infedeli: Pitagora, Platone, Tolomeo. Essi scrivevano
che l’universo è formato dalle molteplici orbite dei corpi celesti che, con il loro movimento nel
cielo, producono dei suoni celestiali. Il problema era che queste armonie sono impercettibili
all’orecchio umano, l’unica possibilità di sentirle era dunque calcolare la formula matematica
descritta dalla loro orbita, per poi tradurla nuovamente in musica. Si era così convinto che riunendo
le melodie di tutto il creato, ascoltando la musica dell’universo, avrebbe sentito la voce dell’Eterno.
Decise di dedicare la sua vita a quell’obbiettivo. Ecco quale fu la sua infinita follia: il grande Abu
Yūsuf Al-Kindi decise di costringere l’Immenso a mostrarsi in sua presenza. Non si chiese mai
perché il Sublime non gli avesse rivelato la Sua luce, semplicemente decise che se la sarebbe presa.
Che il Compassionevole possa avere pietà della sua superbia.
Passò anni ad osservare le stelle. Notti intere in calcoli e a pizzicare le corde del suo strumento.
Ebbe delle difficoltà verso la fine, tanto che dovette aggiungere una quinta corda al suo ud, ma un
pomeriggio di fine estate disse di esserci riuscito: lo spartito era pronto.
Quella notte le nuvole erano pronte a sgravare il proprio peso sulla terra assetata, ma la luce della
luna filtrava ancora dalla finestra. Mi diede della cera calda con cui tapparmi le orecchie e accordò
l’ud senza fretta, sorrideva. I suoi respiri erano calmi, regolari. Mi guardò un’ultima volta e disse
qualcosa che non sentii, ma credo che mi stesse salutando, come qualcuno che sta per partire per un
lungo viaggio. Poi iniziò a suonare. Le sue mani si muovevano sullo strumento con infinita grazia e
lentezza Ricordo il suo sorriso estatico e il suo sguardo gioioso, l’intero suo essere sembrava
immerso nella beatitudine. Dopo qualche minuto ebbi l’impressione che una luce invadesse la
stanza. Pensai che fosse la tempesta appena scoppiata, ma la luce non era irregolare come quella dei
lampi, sembrava invece permeare lo spazio in ogni suo punto pur senza avere un’origine precisa.
Improvvisamente realizzai che doveva essere La Luce ed ebbi la certezza che il suo piano stava
funzionando: il mio maestro stava avendo una visione dell’Eterno. Anch’io volli ascoltare e feci il
gesto di togliermi la cera dalle orecchie, ma poi avvertii un cambiamento. Le sue dita correvano
sempre più veloci sulle corde, il suo sorriso si fece tirato e gli occhi sempre più spalancati. Vidi i
tendini del suo collo tendersi come corde d’arco e le vene sulle tempie pulsare come quelle degli
animali dopo una lunga corsa. Le sue mani continuavano a muoversi sull’ud con una frenesia
sconvolgente, come non avevano mai fatto. Come ero certo che non erano in grado di fare. I suoi
movimenti possedevano una grazia divina, ma i suoi muscoli erano ormai contratti all’inverosimile,
era come se fosse il Vendicatore stesso a guidarle, come se volesse costringerlo a terminare la
melodia che aveva avuto l’ardire di iniziare. Ormai sul suo volto leggevo solo sgomento e terrore.
Volli avvicinarmi per togliergli lo strumento dalle mani, ma ogni movimento mi fu impossibile,
potei solo chiudere gli occhi e pregare. O mio Signore, perdonami e abbi misericordia di me. O mio
Signore, perdonami e abbi misericordia di me. O mio Signore, perdonami e abbi misericordia di
me…
Quando ebbi il coraggio di alzare lo sguardo era l’alba. L’ud giaceva a terra, tutte le corde spezzate.
Il mio maestro portava ancora il segno della loro sferzata sul viso, ma non si muoveva. Il suo
sguardo era fisso nel vuoto. Lo chiamai, ma non rispose. Non rispose mai più, a nessuno. Come un
insetto che si avvicina troppo alla fiamma di una torcia e brucia vivo, così la mente del mio maestro
fu bruciata dalla luce dell’Altissimo. Il grande Abu Yūsuf Al-Kindi era finalmente riuscito a vedere
la luce di Colui che illumina, ne era rimasto abbagliato. La sua anima è ormai immersa nell’oscurità
della notte, come gli occhi di un uomo che ha guardato troppo a lungo il sole. E così adesso, quando
nelle sere d’estate ci sediamo a guardare il cielo stellato, penso all’Unico e alla Sua luce, davanti alla
quale tutto si offusca. Penso che il giorno e la notte, come la saggezza e la follia, ai Suoi occhi, in
fondo sono la stessa cosa.