Furto 14 – Il limite del dolore
Accade di avere paura, accade di inciampare, di cadere, accade di fallire, di perdere qualcuno, di tormentarsi, di cercare di guarire, di andare via, di trovare risposte, accade di sentirsi soffocare, di patire, di sentirsi straziati, smarriti, persi, accade di soffrire.
Ma come si fa a capire qual è il limite del dolore?
Liliana è donna ed è madre, e vive in una terra martoriata che ha visto perdere figli, mariti, padri, bambini, innocenti: la Locride.
Quando si parla di dolore è necessario cambiare penna e utilizzare i colori della delicatezza e della verità, quando si parla di dolore si deve essere consapevoli che le parole non basteranno ma basterà la storia di chi il dolore lo porta nel cuore perché racconta di fatti e i fatti non possono essere contestati da nessuno.
Liliana è diventata madre di Massimiliano nell’aprile del ‘74. Ne parla con orgoglio disegnandolo come un ragazzo normale, buono e di valori. Massimiliano ha la passione per il calcetto, donatore di sangue per i bambini talassemici, fonda anche una cooperativa che decide di chiamare “Arcobaleno”, nome che non ha scelto a caso, nome che vuole essere genesi di cambiamento, laddove il cambiamento è ancora solo una parola e non uno status.
La sua strada, però, incrocia quella di una donna più grande di lui, sposata, con figli. Una storia d’amore improvvisa. Liliana capisce subito il pericolo e le insidie che si celano dietro quella relazione. Decide però di ascoltare il suo ragazzo, di comprendere e accogliere anche quel passaggio tortuoso della sua vita, di stargli accanto. Perché solo così può vigilare su di lui e salvarlo da quella passione che gli brucia dentro e che lo ha reso all’improvviso cieco, incurante del pericolo, desideroso soltanto di salvare la sua compagna. Perché sì, la sua compagna va salvata, va liberata da una famiglia di ‘ndrangheta dove esiste solo la dignitudine, quell’illusoria considerazione da cui un malavitoso deve essere e vuole essere circondato.
Arriva la vergogna, e la vergogna va lavata con il sangue, così da riconquistarsi il rispetto della comunità e ricomporre la maestà lesa, la maestà lordata. Arriva il sigillo, e il sigillo arriva sulla testa di Massimiliano.
«Il 17 settembre del 2004 era venerdì e Massimiliano con suo fratello Davide erano andati a giocare a calcetto. Quando sono ritornati con la macchina, io mi trovavo in cucina perché stavo preparando la cena per mia madre che era sul balcone. A un certo punto ho sentito un colpo e poi i passi veloci di qualcuno che si allontanava nella sterpaglia di un campo vicino che nei giorni precedenti aveva preso fuoco. Ho guardato fuori e ho sentito delle voci concitate: erano quelle dei miei figli. È stato mio marito a venire in cucina per dirmi che avevano sparato all’auto di Massimiliano e Davide. Mi sono precipitata per le scale ma una volta arrivata giù non c’erano né i miei ragazzi, né l’auto. A terra solo un mazzo di chiavi e il libretto della Banca Popolare di Polistena. Sono risalita in casa ed è squillato il telefono: era Davide, ci avvisava che Massimiliano era stato colpito al braccio e che dovevamo andare subito in ospedale. Io ho tirato un sospiro di sollievo e ho pensato che solo alla morte non c’era riparo, per il resto potevamo affrontare tutto. Arrivata al pronto soccorso mi sono precipitata nella stanza dove avevano portato Massi ma mi fecero uscire subito. L’ho visto tutto nudo e non capivo perché lo avevano spogliato se era stato colpito al braccio. Poi lo hanno portato fuori verso la sala operatoria e io correndo dietro di lui cercavo di tranquillizzarlo ma lui mi ha detto soltanto: “Mamma, mamma, vidimi u figghiolu”. Massi aveva già gli occhi liquidi ma l’ultimo pensiero è stato per suo figlio».
E Liliana non si è arresa, ancora oggi non si arrende.
Liliana Esposito Carbone ha scelto di non stare zitta, perché i fatti non vanno taciuti, non possono essere romanzati o rielaborati, è inutile tentare di sporcare il nome di Massimiliano. Massimiliano vive nei fatti, Massimiliano esiste nei fatti, anche se il dolore di una madre che ha richiamato l’attenzione dei media e ha contribuito alle indagini ha turbato l’immagine di una città, ha disturbato la rete delle relazioni nella procura.
«La sera Massi correva. Qualche volta col buio guardo dalla cucina la grande strada che ho di fronte o mentre piove sotto la luce dei grandi lampioni, e lui non c’è. E non è che mi sembra di vederlo, io però nitidamente con l’anima mia lo vedo che corre, lo sento, lo cerco».
In attesa di Giustizia.