La pioggia, dove e quando vuole lei
Mesate intere che ormai non piove più e l’unica umidità che ci è concessa non la vorremmo neanche regalata, perché arriva un tutt’uno con il caldo, a formare quella mefistofelica miscela che ci incolla le spalle alle camicie, i pantaloni al fondo schiena e gli slip alle sferette.
Ci aggiriamo furtivamente, quando costretti fuori casa da un destino avverso, solo all’ombra dei balconi che tra l’altro non hanno più l’ombra di un sol fiore che si sporga alle ringhiere: ci aggiriamo inebetiti, mal vestiti, barba lunga, ci aggiriamo per lo più rincoglioniti.
E occorre anche che qualcuno finalmente lo confessi: noi oramai ci sentiamo pure in colpa!
Sono annetti che gli studiosi ce lo dicono tutti i giorni guardandoci in cagnesco come se loro colpe non ne avessero: ogni conto che la natura ingrata ci presenta è solo colpa tua!
ci aggiriamo inebetiti, mal vestiti, barba lunga, ci aggiriamo per lo più rincoglioniti
Dice – è sempre lui, lo studioso che parla – ti lamenti perché la plastica ormai galleggia in grandi assembramenti sulla superficie degli oceani? E tu perché non bevi l’acqua di rubinetto invece di ributtare nell’ambiente almeno due bottiglie al giorno di polimeri malamente degradabili?
Dico io – timidamente ma anche permalosetto pure – ma l’acqua è quella del serbatoio condominiale, perché non te la bevi tu?
Zitto, come osi ribattere a uno studioso?
Ci lamentiamo dello smog, per il troppo caldo che dura anche troppo a lungo, ci lamentiamo per gli improvvisi allagamenti: la colpa è sempre e solo tua, e il bello – ma dovremmo dire il brutto, anzi il pessimo – è che non ci pensi neanche lontanamente a ravvederti: stai sempre a buttà sta plastica!
Ma intanto per adesso qui da noi gli allagamenti ce li sogniamo, e non solo come metafora, è che proprio ci vengono a trovare in sogno.
La mattina ci interroghiamo l’un con l’altro:
– Ehi, come ti andò?
– Mah, insomma, niente male, l’acqua arrivava fino al primo piano! E a te?
– Macché, ho sognato la solita pioggerellina di marzo che picchiava argentina sul fico e sul muro e poi niente più. Avesse alluvionato la mia seicento che ormai ha quattro dita di sabbia da scirocco sulla carrozzeria… cioè voglio sperare che quella cunetta sotto la crosta sia davvero la mia macchina.
Oramai qui si parla della pioggia come di un miraggio collettivo che abbiamo avuto da bambini.
Ma l’altro giorno e verso mezzogiorno – lo so la parola “giorno” sarebbe una ripetizione da evitare, ma che ci posso fare se fu davvero l’altro giorno ed era pure verso mezzogiorno? – dicevo l’altro giorno, probabilmente grazie alle intercessioni delle numerose processioni che fino a sera per le vie della città invocavano la pioggia, dalla veranda mi venne da guardare l’opposto lato a quello mio del golfo di Palermo: stava proprio sotto una tremenda tempesta tropicale, mai vista una tale quantità di fulmini colpire il sacro suolo siciliano.
Ho chiamato mia cognata che è andata a stare fin quasi a Villabate e lei mi ha confermato che un diluvio si stava abbattendo sulle povere e indifese tamerici che ornano il giardino del suo condominio. Non per niente le tamerici: sono alberi scelti apposta perché abbisognano di poca acqua. Mia cognata non arrivò a dire che fosse a imitazione del diluvio universale, ma che avesse tutta l’aria di essere un ciclone similare a quelli che annegano e devastano le Americhe, questo sì, lo disse.
E allora mi son detto, sfregandomi le mani: questione di mezz’ora e arriva pure qui.
Forza dai, cominciamo a chiudere le porte e le finestre, verande e lucernari, che l’acqua potrebbe arrivare fino in camera da letto.
In casa, di solito arieggiata per via delle correnti d’aria che l’attraversano con provenienza monte Pellegrino e dall’altro lato il porto, non passava più un alito di vento: e infatti dopo due minuti un caldo afoso! Sacrificio sopportabile, al pensiero che poi rinfrescherà per almeno una giornata.
Già, mezz’ora al massimo! All’indomani ero ancora ad aspettare!
E a tutt’oggi ancora niente, neanche una goccia su di me.
Mentre voci raccontano che il Kemonia pare sia esondato per la pioggia uscendo dal suo alveo sotterraneo per entrare in chiesa a San Giovanni, qui non piove da sei mesi.
Non si scruta più l’orizzonte, nossignore! Qui prima diamo un’occhiata a “Mavedichetempo!”, l’App più scaricata di previsioni meteo e poi chiediamo nuove agli amici sui social: non ci mandiamo più ricette rococò o vedi quanto ero bellino in prima elementare.
Ci teniamo in contatto confortandoci a vicenda e sperando sempre in un miracolo con parlottii di questo genere:
– Totuccio, ma da te piove?
– Ma quando mai, magari, ma ho sentito che da mio genero sta diluviando.
– Ma vero? E lui verso dove sta?
– All’Argenteria, mi pare al civico trentuno.
– E com’è questo discorso? Io sto pure là, al settantaquattro, e una goccia non si è vista.
– Boh, così lui mi ha detto un quarto d’ora fa!
– E non è che ci puoi spiare nuovamente? Nel caso scendo. Anzi se mi fai un’altra cortesia, chiedigli pure che santo hanno fatto sfilare in processione, magari il segreto sta proprio tutto lì.